Ammazzacaffè
Scriviamo cose, intervistiamo gente

Festival del Cinema di Roma 2017: tra luci ed ombre

da 8 Nov 2017Presente1 commento

Ci eravamo lasciati sui titoli di coda di “I, Tonya” (prima parte dell’articolo qui) e riprendiamo, alla grande, con i titoli di testa della risposta europea al successo di “House of Cards”. Alla Festa del Cinema di Roma sono stati proiettati i primi due episodi di “Babylon Berlin”, la maestosa serie che con la bellezza di 50 milioni di euro si aggiudica il primato di produzione non in lingua inglese più costosa di sempre. Soldi ben spesi, comunque. E se in Germania stanno già girando la terza stagione, in Italia arriverà presto su Sky la prima, che permetterà a tutti di godere dell’incredibile messa in scena dell’universo creato da Henk Handloegten, Tom Tykwer e Achim Von Borries per raccontare i ruggenti anni ’20 tedeschi, la grande depressione e gli albori del partito nazionalsocialista.

La seconda parte della Festa ha visto protagonisti film-racconto dalla semplicità disarmante, come “One of These Days”, “Hostages” e “Tormentero”. Il primo si limita infatti a raccontare in modo inquietante la tipica giornata di alcuni giovani ragazzi libanesi, che, immersi nella guerra, cercano la vita tra droga, sesso e manifestazioni. Nient’altro. La classica pellicola che, scritta e girata discretamente, fa il compitino e porta il film a casa.

Sempre dei giovani ragazzi sono i protagonisti di “Hostages”. Anche questi in guerra. Una guerra prima di tutto interiore, che mette in dubbio il senso di appartenenza alla propria terra, la Georgia, e che poi diventa un conflitto contro lo Stato e la legge, tanto da non permettergli di volare all’estero. Questo sarà il motivo che li spingerà a dirottare l’Aeroflot Flight 6833 tra il 18 e il 19 novembre del 1983, tenendo in ostaggio i passeggeri, causando otto morti e scrivendo la pagina di storia da cui il film, interpretato, girato e fotografato magistralmente, è tratto.

Segue lo stesso filone di semplicità “Tormentero” di Rubén Imaz, che ci immerge nel viaggio onirico di un anziano ubriaco, interpretato da José Carlos Ruiz, tormentato dal senso di colpa per aver scoperto un giacimento di petrolio nella proprio terra, che ha provocato gravi danni all’ecosistema circostante. Un viaggio shakespeariano narrato in modo non convenzionale e caratterizzato da una fotografia tra le più sublimi dell’anno, opera di Gerardo Barroso.

A metà tra la naturalezza di “One of These Days” e la costruzione cinetica dello splendido “Logan Lucky” c’è il nostro caro Paolo Genovese col suo “The Place”, che, curando anche la sceneggiatura, costruisce un intreccio all’altezza di un prodotto internazionale (non a caso il soggetto è tratto da una serie tv americana). Il cast non ripaga le aspettative, ma il livello rimane alto grazie a un comparto tecnico degno di nota, dalla carta alla color correction. Il regista impacchetta un film furbo ed efficace, lasciando lo spettatore attaccato allo schermo dall’inizio alla fine. Tranne, ahimè, nelle scene con la Ferilli.

Fuori dal kammerspiel del Bar di “The Place” di Genovese, ci sono due virtuose pellicole, una statunitense e una scandinava, rispettivamente di Steven Soderbergh (“Logan Lucky”) e Janus Metz (“Borg McEnroe”). La prima racconta di una divertentissima rapina compiuta da due fratelli, un menomato Adam Driver e un claudicante e appesantito Channing Tatum, aiutati dal carcerato schizzato Daniel Craig. Qui le scene della prigione sono esilaranti e ogni personaggio di contorno è caratterizzato ad hoc. Con una narrazione del tutto imprevedibile, la storia ci sorprende concludendosi in modo inaspettato, con un plot twist che apre a un ipotetico cliffhanger. La seconda ripercorre la storica rivalità tra lo svedese di ghiaccio Björn Borg e il più giovane punk a stelle e strisce John McEnroe, fino alla storica finale di Wimbledon del 1980, che li vide contrapposti. Il film sviscera gli animi e le paure di ambedue nei confronti del proprio obiettivo, da una scala di flashback sapientemente illustrati fino al match finale che, pur se ne si conosce l’esito, rimane mozzafiato.

Una Festa, dunque, che non si è lasciata scappare niente, toccando ogni corda dell’animo umano, così come si sperava. Abbiamo vissuto storie di redenzione e riscatto nei toccanti “Hostiles” e “Stronger” e negli spassosi “Abracadabra” e “Logan Lucky”.
Abbiamo vissuto il terrore e la malattia, dalla guerra di “Insyriated” a quella italiana di “Una questione privata”; dall’afflizione disperata di “Blue My Mind” e “Tormentero” al disgustoso “My Friend Dahmer”.
Abbiamo imparato cosa sia o non sia la famiglia dal complicato rapporto fra le donne di “Tomorrow and Thereafter” e “I, Tonya”; il dolore di una perdita di un familiare nel bellissimo “Last Flag Flying”.
Infine abbiamo imparato a conoscere e comprendere noi stessi, scegliendo il nostro presente e il nostro futuro, con il libanese “One of These Days”, il georgiano “Hostages” e il nostro “The Place”.

A seguire, le ultime tre recensioni dei film visti al Festival.

Paolo Carabetta

Paolo Carabetta

Graphic Designer e Videomaker per Web, Cinema e Tv. La legge di Murphy è la mia legge.

1 commento

  1. Jams

    il film è molto sincero, è interessante guardarlo anche più volte

    Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ammazzacaffè è un laboratorio di comunicazione digitale che unisce studenti da tutta Italia in uno luogo virtuale dove scoprire, discutere e condividere informazione con uno sguardo sul presente dal futuro.

Altri articoli