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Fracking, il gas naturale non salva il pianeta

da 24 Gen 2020Presente0 commenti

Negli ultimi anni l’attenzione che si dà alla crisi ambientale che stiamo vivendo è aumentata enormemente. Le numerose manifestazioni “Fridays for Future”, che hanno visto una partecipazione in massa dei giovani del mondo allo scopo di smuovere le potenze mondiali e impedire una troppo vicina e prossima catastrofe, stanno portando a un graduale, se non forse ancora troppo lento, cambiamento e a una maggiore consapevolezza sul tema del surriscaldamento globale. 
Questa consapevolezza ha però dei limiti da non sottovalutare: l’argomento, oltre a essere politico e quindi spesso pieno di controversie e di problemi sottovalutati dal comune cittadino, richiede una conoscenza scientifica profonda in materia per essere compreso appieno. Ciò che può sembrare un’alternativa meno inquinante al carbone, come l’utilizzo dei gas naturali, ha in realtà alle sue radici un impatto ambientale considerevole.

Per la produzione di gas naturali viene utilizzata la tecnica della fratturazione idraulica, più conosciuta come ‘fracking’. La tecnica consiste nell’utilizzo di notevoli quantità di un fluido, generalmente di un miscuglio composto da acqua, sabbia e vari componenti chimici, pompato all’interno di pozzi a pressione e temperature elevatissime così da frantumare le rocce scistose del giacimento che rilasciano il gas al loro interno. La mistura produce innumerevoli piccole fratture nello strato roccioso e la sabbia aggiunta previene che queste si richiudano al venir meno della pressione. Successivamente, il fluido viene ripompato fuori, lasciando così spazio al gas naturale che può finalmente essere raccolto e utilizzato. 
Mediamente il fluido contiene 8 milioni di litri d’acqua, che equivale circa al fabbisogno giornaliero di 65 mila persone. In aggiunta, diverse tonnellate di sabbia e 200 mila litri di altre sostanze chimiche, la cui composizione non è nota al pubblico. Sappiamo però che potrebbero esserci fino a 700 diversi agenti chimici utilizzati nel processo.

La tecnica era conosciuta già negli anni ‘40, ma solo recentemente ha guadagnato popolarità per via del suo frequente uso negli Stati Uniti e della controversia che ne è nata. Il motivo di questo vertiginoso aumento nel suo utilizzo in America è che molte delle risorse convenzionali di gas naturali sono state esaurite, portando a un continuo aumento del prezzo del gas naturale. Il fracking è quindi particolarmente remunerativo seppur costoso. Inoltre, molti considerano l’uso di gas naturali una buona alternativa momentanea, di transizione verso l’energia rinnovabile, all’ancora molto utilizzato carbone. Da un punto di vista politico poi, l’utilizzo del proprio gas naturale eliminerebbe la necessità di importare petrolio.
I vantaggi portati dal fracking e dal più ecologico gas naturale portano però parecchi svantaggi, motivo per cui da anni imperversano molte critiche. Su questa controversia si basa anche un documentario candidato al Premio Oscar del 2011 chiamato “Gasland”.
Sulla base di queste critiche ci sono tre sospetti rischi ambientali causati dal fracking: l’inquinamento delle falde acquifere vicine, il rilascio di metano nell’aria e l’aumento di terremoti.

Il rischio di inquinamento delle falde acquifere sarebbe causato dalle sostanze chimiche aggiunte all’acqua, numerose tossiche o cancerogene, che la contaminano al punto tale da renderla non purificabile. La preoccupazione sta nella possibilità che questi composti s’infiltrino nelle scorte d’acqua potabile o che il gas possa scappare e finire nell’acqua del rubinetto, rendendola così infiammabile. Questi non sono rischi da sottovalutare: in Colorado per esempio è stata confermata la presenza di questi composti chimici nell’acqua potabile, anche se non è stato confermato che la causa sia il fracking. 
Ci sono comunque video preoccupanti, tra cui alcuni mostrati nel documentario sopracitato, che mostrano come nelle zone vicine agli scavi, l’acqua del rubinetto che scorre possa prendere fuoco semplicemente avvicinandoci un fiammifero.
Il vero problema però secondo gli esperti è che la forte intensità dell’acqua necessaria per il fracking limiti la sua disponibilità nelle aree circostanti, dove vivono milioni di persone. Ciò ha causato molte battaglie locali.

Il rilascio di metano nell’aria è legato invece alle perdite di gas durante la sua estrazione. Si stima che circa il 3% del gas recuperato venga perso e si diffonda nell’atmosfera. Gli scienziati hanno rilevato negli ultimi dieci anni un grande aumento del metano che entra nell’atmosfera e nuove ricerche hanno individuato la possibile causa nelle operazioni di recupero di gas naturali. In particolare è stato notato come questa alterazione nei dati sia cominciata proprio nello stesso momento in cui c’è stato il boom nell’uso del fracking in America. Una ricerca pubblicata nell’agosto del 2019 dell’ecologista Robert Howarth della Cornell University suggerisce come queste operazioni siano la causa di oltre la metà dell’incremento del metano nell’atmosfera.

Potrebbe essere attribuito al fracking, infine, anche l’aumento di terremoti superiori al 5° grado della Scala Richter. È già noto e confermato che il procedimento provochi micro-terremoti nelle aree circostanti, ma ancora c’è molto da capire a proposito. Sembra che il fenomeno sia causato in particolare dalla pratica di smaltimento dei fluidi nel sottosuolo dopo aver completato il fracking. Il collegamento con il fracking è stato confermato dopo un incremento esponenziale di terremoti nello stato dell’Oklahoma durante il 2013-2014. E’ dunque stato chiesto alle industrie di non iniettare acqua inquinata sotto un livello specifico, che sembra aumenti il rischio di terremoti. Nonostante ciò non ci sono studi scientifici che supportino la pericolosità del fenomeno. 

In conclusione, che l’utilizzo di gas naturali sia un’alternativa più ecologica rispetto all’uso del carbone non è affatto sicuro: la potenziale pericolosità della tecnica utilizzata per il recupero di tali gas rende i vantaggi ottenibili uguali se non minori rispetto agli svantaggi ambientali, ed è prova della continua e necessaria ricerca scientifica che dobbiamo portare avanti.

Chiara Genovese

Chiara Genovese

Chiara Genovese

Chiara studia Lingue nella Società dell'Informazione all'Università di Roma "Tor Vergata". Appassionata di scienze e divulgazione scientifica, spesso si cimenta nella scrittura e nella fotografia.

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