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La Terza Guerra Mondiale dei Zen Circus

da 23 Set 2016Culture, Presente0 commenti

Sono vent’anni che i Zen Circus ci sbattono in faccia la realtà di questo “paese che sembra una scarpa”. Mettono in evidenza i difetti, le ipocrisie e le idiosincrasie che ci circondano, ma che un po’ per fatica e un po’ per convenienza difficilmente notiamo.

Era il 1998 quando uscì “About Thieves, Farmers, Tramps and Policemen”, diversa formazione, diverso nome (all’epoca solo “The Zen”), ma stessa grinta e rabbia che li avrebbe accompagnati nei successivi otto dischi.
Mettersi qui a riassumere la storia di Appino, Ufo e Karim sarebbe però inutile e superfluo; i motivi per cui sono diventati la miglior band indie/punk italiana degli ultimi vent’anni sono tutti lì nella loro musica e nelle loro collaborazioni con membri di “Violent Femmes”, “Pixies” e “Sonic Youth”. La chiave del riuscitissimo “La Terza Guerra Mondiale”, il loro nuovo album in uscita oggi per La Tempesta Dischi, sta proprio nella loro storia, nelle loro collaudatissime formule musicali e nella straordinaria capacità di assimilare il meglio da gruppi soprattutto esteri e miscelare il tutto con il cantautorato italiano per raccontare luoghi, persone, generazioni e guerre.

“Il filo conduttore dei testi è un’ipotetica (ma non troppo) terza guerra mondiale, da noi invocata provocatoriamente come unico modo per ritornare ad essere davvero complici, per capire chi è amico e chi nemico, per liberarsi da sovrastrutture inutili che ci imbrigliano fino a renderci impotenti.”

“La Terza Guerra Mondiale” sa molto di maturità artistica. Quell’equilibrio tra Power Pop e suoni ruvidi, che da sempre cercano di conquistare, stavolta sembra essere raggiunto.
Il titolo del disco funge da scatola di storie, personaggi e situazioni che dipingono un quadro completo dei perenni conflitti della società moderna. La title track in apertura ci racconta proprio questo, e lo fa con un sound pieno ma semplice: chitarra, basso, batteria, niente tastiere o synth, un altro dei leitmotiv del disco. Segue “Ilenia”, il primo singolo uscito a inizio estate e pezzo più orecchiabile dell’album. Dimostrazione che il pop impegnato esiste ancora. Dopodiché le pulsazioni si abbassano per “Non Voglio Ballare”, un lento e malinconico viaggio nel passato [erano le elezioni non ricordo più / votai il conte Mascetti e ti incazzasti con me] e si rialzano per “Pisa Merda”, un anti inno cittadino, che si estende, nella lunga (forse troppo) coda finale a tutte le città d’Italia. Proprio nel cuore del disco, gli Zen infilano “L’anima Non Conta”, uno dei pezzi meno spontanei ma più riusciti della loro carriera: un lungo racconto della vita di provincia, di carta stagnola nascosta nel cassetto e del timore giovanile d’affrontare la vita. [giù e poi nuotare non c’è altro da fare senza bestemmiare / zitto e non fiatare tanto l’anima non conta]. Per riprendersi dall’enorme emotività sprigionata da “L’anima Non Conta” secondo il Circo Zen ci vuole un po’ di rabbia. Con “Zingara (Il cattivista)” Appino racconta, evocando immagini forti e senza giochi di parole, la tipica cattiveria colma d’ipocrisia verso il diverso. Anche il sound del pezzo, molto vicino a quello de “Il Testamento”, esordio solista del frontman, contribuisce a far diventare il brano uno degli episodi più interessanti del disco. Ci si avvia verso la conclusione con “Niente di Spirituale”, un pezzo che fa da contrappunto a quello precedente e “San Salvario”, il brano più tipicamente Zen dell’album, il più corto e con quell’ironia pungente che sembra essere uscita pdall’esordio in italiano del 2009 “Andate Tutti Affanculo”. Il penultimo brano, “Il Terrorista”, ricalca in modo un po’ troppo evidente la struttura pop di “Ilenia”. Si salva grazie al testo, che tratta efficacemente e con leggerezza un argomento diventato troppo ingombrante [tu da grande cos’è che vuoi fare / chiede la maestra in prima elementare / il banchiere l’avvocato il giornalista / no signora io voglio fare il terrorista].

“La comunicazione interpersonale rimane il punto focale attraverso cui si snodano le nostre vite e i luoghi in cui sono abitate; con tutte le contraddizioni, la violenza, e l’ironica crudeltà necessarie alla soddisfazione dell’iperrealismo che perseguiamo. Come al solito in tutto questo noi ci mettiamo nel mezzo, peccatori e di certo non risolutori.”

Un capitolo a parte deve essere dedicato ad “Andrà Tutto Bene”, il pezzo più lungo dell’album, quello più ambizioso; atipico per il trio toscano, con atmosfere molto cupe, che non si risolvono in nessuno spiraglio di luce se non forse nelle ultime battute. Un pezzo che consacra l’intero disco e che ci fa dimenticare qualche difetto sparso qua e là, qualche canzone troppo tirata per le lunghe o piccole lacune di coraggio negli arrangiamenti. Sparisce tutto. Rimane il silenzio che i Zen Circus implorano alla fine del disco.
In quest’ultimo brano ci si rende anche conto perché questo è stato l’album con la gestazione in studio più lunga della loro carriera; sembra che i Zen Circus sapessero di aver ancora molto da raccontare e di doverlo fare bene, ma a modo loro, dalla parte meno scontata di questa terza guerra mondiale, quella dei cattivi, di chi compatisce il nemico e cerca di capirne le motivazioni. Una grande lezioni di umiltà e di pop.

“A ricordarvi che “andrà tutto bene” ci pensano tanti altri (ed è giusto che sia così), ma il Circo Zen non si occupa di questo, noi facciamo cantare i diretti interessati in prima persona: volgari e cattivi a volte, commoventi e (in fondo) umani altre. Come siamo noi, come siamo tutti.”

Alessandro Perrone

Alessandro Perrone

Alessandro Perrone

Alessandro è un ragazzo che vive e studia Lettere a Roma, che non si fa scrupolo a descrivesi in terza persona. Appassionato di musica in quasi tutte le sue forme, ma con una leggera predilezione per i freddi suoni dell'elettronica.

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  1. Intervista ai The Zen Circus: "Per suonare non serve l'ambizione" - Ammazzacaffè - […] complimenti per il disco, l’abbiamo recensito e dobbiamo ammettere che ci è piaciuto un po’ di più rispetto a…

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