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L’inutile arte di far parlare le immagini

da 25 Feb 2015Culture, Presente1 commento

IMG_20150220_192700L’arte della fotografia è morta.
I veri fotografi sono scomparsi, sostituiti da cellulari, macchinette reflex automatiche o tutto ciò che con un tasto riesce a innescare un processo in cui l’elemento umano perde totalmente valore.

Chi fa il fotografo per mestiere, o chi studia per diventarlo, è spesso accusato di fare un lavoro inutile. Perché per premere un tasto non ci vuole nulla. È un attimo.
Essere fotografo, però, non è solo saper scattare, non è solo cogliere attimi. Essere fotografo è guardare la realtà con occhi diversi. Essere aperti a tutto. Non perdersi neanche un dettaglio di tutto ciò che ti circonda. Essere fotografo non è girare con la macchina fotografica al collo come fanno i turisti, ma sapere quando bisogna tirarla fuori. Essere fotografo non è puntare e scattare. Essere fotografo è osservare e con una sola immagine suscitare emozioni.
Di recente è uscito un film sul grande fotografo Sebastião Salgado, intitolato “Il sale della terra”. Salgado è un idolo per tutti noi che amiamo fotografare, ma è del tutto sconosciuto al resto del mondo.

Oggi tutti scattano foto di tramonti visti e rivisti, o di animali poco desiderosi di essere messi in posa, o foto di piatti prelibati, di coppiette innamorate, di amicizie simbiotiche o di se stessi, i tanto criticati “selfie”. Foto soprattutto di momenti felici. Una foto per poter ricordare gli attimi, quando saranno passati. Istantanee di nostalgia, per immortalare quei momenti in cui siamo belli, giovani, allegri. Tutto.

Una ricerca della KPCB ha calcolato che in tutto il 2011 le foto scattate e caricate in rete erano 300 milioni; nei soli primi tre mesi del 2014 sono diventate 1,8 miliardi.

Non facciamo altro che lasciare migliaia di documenti per i nostri posteri, che potranno vedere com’è la vita oggi, adesso. Istante per istante. Forse è proprio qui il nocciolo della questione. Come gli antichi che lasciavano graffiti sui muri delle caverne, le impronte delle loro mani, per dimostrare che, sì , loro, non solo erano stati lì, ma che loro erano esistiti, che anche loro facevano parte del mondo. Noi siamo uguali. Vogliamo dimostrare che ci siamo. Che in questo mondo enorme e caotico, noi esistiamo. Siamo qui anche noi. Con i nostri problemi, le nostre gioie. Noi esistiamo. Mondo, guardaci. Anche noi siamo qui.

L’osservazione che si potrebbe sollevare è che questo è il progresso: Internet, cellulare, Whatsapp. Si, forse è così. Ma a volte sarebbe bello tornare a prima, quando per uscire insieme si andava di porta in porta a chiamare gli amici; prima, quando per dire qualcosa a un amico gliela si diceva in faccia; prima, quando, per esprimere un sorriso si sorrideva. Prima. Prima che tutti diventassero fotografi.

 

Lavinia Cianchi

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1 commento

  1. Riccardo

    Ama sempre la fotografia e capirai sempre il valore di ogni 1/125 di secondo della tua vita.
    Brava anche per il riferimento a Salgado e ai suoi bellissimi scatti di Vita

    Rispondi

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