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Il primo Rovere

da 3 Mar 2019Culture, Presente0 commenti

L’attesa era veramente tanta. Le aspettative del pubblico e della critica erano altissime non solo per la storia che si voleva rappresentare, ma anche per via delle innumerevoli voci di corridoio legate alla realizzazione de “Il primo Re” e soprattutto per la presenza dietro la macchina da presa di Matteo Rovere. Classe 1982, il produttore/regista si è già conquistato un posto di rilievo nello scenario cinematografico contemporaneo grazie al suo “Veloce come il vento”, che nel 2016 (insieme a “Lo chiamavano Jeeg Robot”) ha contribuito a rilanciare il cinema di genere italiano, dimostrando che l’Italia può  riprovare a spingersi oltre la commedia e oltre ai film sociali di stampo neorealista.

Altro volto di punta che accresceva le aspettative sul film è Alessandro Borghi, attore potente e carismatico, versatile e imprevedibile, che si è sempre dimostrato all’altezza di qualsiasi ruolo gli sia stato sottoposto. Per non parlare degli innumerevoli effetti speciali e delle enormi sfide tecnologiche previste dalla sceneggiatura, che hanno richiesto un budget elevatissimo, insolito per un film italiano: 8 milioni di euro.

Insomma, qualunque spettatore si sia trovato a entrare in sala per la visione del “Il primo Re” era consapevole di trovarsi di fronte a ingredienti di primo livello e a un film che sarebbe potuto essere un piccolo capolavoro.

La storia è totalmente ambientata nel 753 a.C. nelle foreste minacciose ed esoteriche di quella che da lì a poco sarebbe diventata Roma. I protagonisti sono Romolo e Remo, prossimi a entrare in quella leggenda che si racconta a qualsiasi bambino e che Rovere si è permesso di revisionare qua e là per rendere tutto più accattivante.

Inoltre, per rimanere fedeli il più possibile all’epoca che si voleva mettere in scena, si è scelto di adoperare la lingua del tempo, il proto-latino, una lingua arcaica e ormai morta, da cui diversi secoli dopo è nato l’italiano.

Matteo Rovere

Il risultato finale è un film potente e ben riuscito che vince in pieno la scommessa di realizzare un prodotto che possa avere un respiro nazionale e internazionale allo stesso tempo. Una sorta di negoziazione tra locale e globale, due opposti che trovano il giusto equilibrio, coesistendo senza darsi fastidio: una leggenda molto cara ai romani (e agli italiani), raccontata però con un linguaggio spettacolare e sensazionale, ricco di trovate esteticamente belle e ammalianti, che consentono alla pellicola di essere apprezzata anche fuori dal contesto nazionale.

Il primo Re risulta anche un film capace di mettere d’accordo  il pubblico medio e il pubblico più acculturato: la narrazione, abbastanza classica, con cui la vicenda viene raccontata e alcune trovate più sperimentali e innovative, come la scelta dei dialoghi in proto latino, si amalgamano alla perfezione con elementi spettacolari e dal forte impatto emotivo.

Crudo, spietato, magico, realistico, scorretto, ruvido, empatico. Dialoghi misurati, calibrati e cadenzati. Ogni parola è una sentenza che echeggia nella storia e fa vibrare la nostra identità. Inquadrature maestose e potenti che sanno di antico e ancestrale. Ciliegina sulla torta un montaggio dinamico che dà ritmo al film e riesce a evitare che lo spettatore si annoi.

Rovere mette in scena un film leggendario lontano dai luoghi comuni e dalle banalità, raccontato con la voglia evidente di stravolgere il panorama audiovisivo italiano, dimostrando che l’Italia può guardare al futuro senza essere per forza ancorata al passato. Dalla visione del film di Rovere ci si rende conto che si deve iniziare ad avere il coraggio di scrollarsi di dosso gli spettri del neorealismo e delle commedia all’italiana, sebbene ci abbiano reso grandi e abbiano consentito di far conoscere il DNA della cultura italiana, e che si deve guardare avanti con prodotti insoliti e nuovi. Prodotti che per anni abbiamo pensato potessero essere realizzati solo dagli americani o che semplicemente fossero troppo imponenti per un “popolo di santi, poeti e navigatori” . Un film che, in parole povere, ci dimostra di essere all’altezza di qualsiasi prodotto audiovisivo estero (da qui la scelta di Rovere di volere una troupe formata da soli italiani).

Ovviamente il cinquanta percento della bellezza del film dipende dalla bravura indiscussa dei due protagonisti, il già osannato Alessandro Borghi, uno degli attori più bravi della nostra epoca, e Alessio Lapice, che, superando sfide umane al limite del possibile (recitare di notte al freddo sotto la pioggia e nel fango) sono riusciti a confezionare due interpretazioni tra le migliori degli ultimi anni. Insomma le aspettative sono state soddisfatte in pieno.

È notizia di qualche settimana fa che “Il primo Re” diventerà una serie TV che potrebbe, ipoteticamente, raccontare le gesta leggendarie dell’impero romano. Vedremo se riuscirà a eguagliare la bellezza del film o se sarà una mera operazione commerciale.

Mario Vai

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