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Sanremo è Sanremo

da 10 Feb 2019Culture, Presente0 commenti

C’è chi lo ama talmente tanto da aspettarlo per tutto l’anno, e c’è chi lo odia a tal punto da non averne mai visto neanche un momento. C’è chi lo aspetta solo per poter fare polemica e c’è chi invece lo aspetta per poter canticchiare le canzoni del proprio idolo, o anche banalmente per passare una settimana di spensieratezza e allegria lasciando fuori tutti i problemi che attanagliano la nostra quotidianità. Insomma, indipendentemente da come lo si guarda, bisogna ammettere che il Festival di Sanremo è un appuntamento tradizionale che ormai fa parte del DNA del nostro bel paese e di tutti noi italiani.

Da sempre le canzoni sono un vero e proprio affresco di emozioni e una perfetta fotografia del momento storico in cui viviamo. Basti pensare a brani come “Vola colomba” di Nilla Pizzi, che nel 1951 arrivò secondo* alla prima edizione del Festival di Sanremo, ma fu soprattutto un modo per raccontare quell’Italia che moriva dalla voglia di riavere Trieste, città che fino al 1954 fu sotto il dominio degli Jugoslavi e degli Angloamericani. Sono chiari e piuttosto espliciti i riferimenti che si possono individuare nei versi della canzone: “​Dio del ciel se fossi una colomba, vorrei volar laggiù, dov’è il mio amore che, inginocchiata, a San Giusto (Cattedrale di Trieste) prega con l’animo mesto: fai che il mio amore torni…Ma torni presto”. Per non parlare della canzone vincitrice dell’edizione del 1985, “Noi ragazzi di oggi” cantata da Luis Miguel, che metteva in musica tutta la speranza e la gioia dei ruggenti anni ‘80.

Quelle del Festival di Sanremo “​non sono solo canzonette”, ma una vera e propria radiografia di quel che c’è stato, di quel c’è e di quel che ci sarà. Ieri è calato il sipario anche sulla 69esima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo, che si congedata sulle note di “Soldi”, canzone arrivata prima nella classifica finale, cantata dal vincitore Mahmood, lasciando tutti senza fiato.

Senza troppi giri di parole mi sento di dire che siamo stati deliziati da una buonissima edizione, ricca di bellissime canzoni, variegate e potenti, costellate di contaminazioni innovative e talvolta anche sperimentali, che hanno saputo restituire un’immagine veridica della scena musicale contemporanea. E sebbene rispetto al 2018 si sia registrato un lieve calo in termini Auditel, la media giovanile ha ottenuto un risultato da record, segno che Claudio Baglioni, direttore artistico (anzi “dirottatore” artistico) e conduttore, è riuscito nell’impresa di svecchiare la platea spettatoriale, facendo decadere le critiche che ormai da anni perseguitavano il festival, accusato di essere solo una manifestazione per vecchi. La canzone vincitrice di Mahmood ne è la dimostrazione.

Accanto a Baglioni, nelle vesti di conduttori, abbiamo trovato Virginia Raffaele e Claudio Bisio, che, nonostante abbiano avuto un po’ di difficoltà a sciogliersi, sono riusciti a conquistare il cuore degli spettatori (anche se meno dell’accoppiata Hunziker-Favino dello scorso anno). Forse quel che è mancato tra un’esibizione e l’altra è stato uno spettacolo forte e ben strutturato, apparso invece liquido, sempliciotto e troppo infantile. Lungi dal pretendere per Sanremo una drammaturgia forte, con monologhi impegnati e sketch teatrali elaborati, mi aspettavo comunque uno spettacolo leggermente più articolato. La simpatia però, bisogna dirlo, è stata protagonista, proprio come continuano a esserlo le canzoni, che, come ha più volte ribadito Baglioni, fanno parte di un’arte povera da preservare e da proteggere.

Le polemiche non sono ovviamente mancate: da quelle politiche a quelle che riguardano proprio la canzone vincitrice. C’è chi scaglia commenti negativi perché preferiva altri cantanti o c’è chi invece parla di oltraggio in quanto (forse per la prima volta) a vincere è stata una canzone controcorrente per la storia di Sanremo. Ma forse è giusto così.

Ciò che provo in questo momento, all’indomani della serata finale, è un senso di vuoto. La settimana sanremese è bella ma spietata, perché è talmente spensierata e ovattata di lustrini e cotillon da farti perdere il rapporto con la realtà. Hai la sensazione, per tutte le serate, di toccare con mano un qualcosa di leggero e profondo allo stesso tempo. In fondo, come diceva Pippo Baudo, Sanremo è Sanremo!


Mario Vai

*Modifica: abbiamo corretto, dietro segnalazione, un errore che riportava la canzone della Pizzi come prima classificata alla prima edizione del Festival.

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