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Testimoni della Memoria

da 27 Gen 2018Presente0 commenti

“Ci avevano tolto la dignità di essere persone umane, eravamo diventati solo dei numeri.”

                                                                                                          -Sami Modiano

Gli applausi di più di cento ragazzi echeggiano nella mia testa, salgo le scale e mi siedo vicino al mio amico Sami. Vedo volti di ragazzi incuriositi, ma anche spaventati da quello che potrei dire. Tutti ci osservano con attenzione e aspettano che dica qualcosa.
Mi passano il microfono e con voce tremante inizio a parlare.

“Quando ero piccolo frequentavo una scuola pubblica. Dovevo iniziare la quinta elementare e il primo giorno che entrai in classe la maestra, a cui volevo molto bene e lei ne voleva a me, mi disse: «Tu, Terracina, non puoi entrare». «Perché, cosa ho fatto?» le chiesi. «Sei ebreo».”

“Il 16 ottobre è la data della prima deportazione. Furono deportati 1023 innocenti. Arrivati al campo superarono la selezione 147 uomini e 47 donne, tutti gli altri, la sera stessa, furono ridotti in cenere.
Per noi ebrei italiani cominciò un calvario, giorno dopo giorno, nell’inferno in cui c’eravamo noi, i dannati, con i demoni (Kapò e le SS) e i caronte, cioè coloro che trasportavano i vivi nel mondo dei morti.
Mia mamma aveva capito tutto: appena ci vide ci abbracciò tutti, piangeva, aveva il volto coperto dalle lacrime, me lo ricordo. Ricordo il suo viso contro il mio, il mio viso che si bagnava delle sue lacrime.”

“Dopotutto noi ce l’abbiamo fatta. Io e Sami ci conoscemmo quasi ottanta anni fa ad Auschwitz Birkenau e usciti dall’inferno ci siamo ritrovati soli. Posso dire però di aver avuto una vita felice, protetta dall’amicizia, uno dei più grandi valori della civiltà. Tenetelo presente. Si dice «Chi trova un amico trova un tesoro». No, chi trova un amico trova un qualcosa di più di un tesoro, qualcosa di un valore incommensurabile e noi ne siamo testimoni.”

Stringo la mano di Sami che mi sorride, i visi di alcuni ragazzi sono rigati dalle lacrime e sempre più sconvolti.
Passo il microfono a Sami:

“Ci siamo conosciuti a Birkenau. Eravamo due ragazzi che avevano la stessa storia. Il caso ha voluto che in quel momento di grande dolore avessimo stretto amicizia in un posto che non si può dimenticare. Entrambi sapevamo che non saremmo usciti vivi da quell’inferno. Eravamo sicuri che non ce l’avremmo fatta. Sapevamo molto bene che se entri nella ‘fabbrica della morte’ sei condannato a morire. Pregavamo che questa morte arrivasse al più presto, per non continuare a vivere quel grande dolore.”

“Mi chiedono spesso com’è stata la vita subito dopo la liberazione. Io rispondo che noi non siamo stati liberati, noi siamo ancora lì. Non posso dimenticare tutto quello che ho sofferto nella mia adolescenza. Tutto quello che abbiamo visto e sentito ce lo porteremo con noi fino alla fine dei nostri giorni. Ognuno ha la propria storia e io ho avuto una vita diversa da Piero. Lui ha trovato una famiglia mentre io mi sono ritrovato solo a quattordici anni.”

“Le leggi razziali colpirono anche me. Sono stato espulso dalla scuola a otto anni. Ero un bambino che aveva voglia di studiare e anche i miei genitori desideravano un percorso di studi per il mio futuro, ma tutto questo ci è stato impedito perché eravamo colpevoli di essere nati ebrei. Non ho una cultura scolastica e tutto quello che so l’ho imparato lavorando. Ho cercato di buttarmi sul lavoro per dimenticare, ma non si può. Vivo con una piaga che non si chiuderà mai.
Nella mia vita, però, ho avuto la fortuna di incontrare una donna che mi ha seguito per sessanta anni, che ha creduto in me, mi ha capito e sostenuto.”

“Sono stato uno degli ultimi che ha voluto raccontare a voi ragazzi la mia testimonianza. Inizialmente non volevo ricordare e cercavo di rimanere nel mio dolore, ma Piero tredici anni fa mi ha convinto a fare la mia parte. Dopo tanti rifiuti ho dato il mio consenso e sono ritornato ad Auschwitz con trecento ragazzi, accompagnato anche da lui perché era importante avere affianco qualcuno che mi sostenesse nel dolore.”

“Per me è stato, dopo sessanta anni, un dolore tremendo perché dove mettevo un piede vedevo mio papà, mia madre o mia sorella. Vedevo tutte le cose che sono successe lì, ma poi quando mi giravo vedevo voi ragazzi che sentivate le mie parole e vedevo le lacrime scendere dagli occhi. É stato molto importante e quando ho visto le vostre lacrime ho capito che era necessario continuare a trasmettere quello che ho vissuto, perché non vogliamo che voi vediate cosa hanno visto i nostri occhi. Da quel momento ho giurato che non smetterò mai di dare la mia testimonianza.”

Gli applausi continuano, io e Sami ci guardiamo stringendoci le mani, tutto sommato ce l’abbiamo fatta!

Con le parole di Piero Terracina e Sami Modiano, con le testimonianze di chi è sopravvissuto a quel terribile inferno chiamato Auschwitz, ricordiamo oggi le vittime dell’Olocausto.

 

Silvia Petrozzi

 

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