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The shining, un viaggio nel genio di Kubrick

da 21 Giu 2016Culture0 commenti

Nel 1980, dalla mente geniale di Stanley Kubrick, nasce “The Shining”.
Il film, di genere horror, mi ha colpito subito grazie al perfetto connubio tra la luminosità della fotografia  e  l’aspetto ambiguo dei personaggi. Terminato di vedere il film, però, non ho potuto non continuare a pensarci per almeno una settimana: l’incongruenza di alcuni particolari del film mi ha lasciato un tarlo nella testa che non si riesce ancora a placare.

Data la mia ossessione, ne ho parlato con gli amici e ho fatto ricerche in rete;  ho scoperto così di non essere l’unica ad aver immaginato teorie assurde sul film. Nel 2012, Rodney Asher presenta al Sundance Film Festival “Room 237”, un documentario che tratta diverse teorie apparentemente celate nel film di Kubrick.
Il documentario prende “Shining” e lo rivolta come un calzino: fotogrammi al rallentatore, scene al contrario, zoom su piccoli dettagli, comparazione con altri film, oggetti di scena che appaiono e scompaiono. Tra le teorie emerse, tre sono quelle che mi ha colpito di più.
La prima ipotizza che Kubrick abbia voluto raccontare, attraverso il film, il genocidio degli Indiani d’America messo in atto dal governo americano. La pellicola è piena di poster, quadri e statuine che richiamano gli indiani, ma la cosa che fa pensare dì più sono dei barattoli di lievito Calumet “Baking Powder”. Le confezioni appaiono in due importanti scene del film e raffigurano proprio l’immagine di un indiano. Secondo la tradizione il Calumet è la pipa della pace, dunque le confezioni potrebbero richiamare gli accordi di pace che gli americani hanno infranto durante la conquista del West, provocando il genocidio.
La seconda teoria, invece, suppone che Stanley Kubrick sia stato coinvolto nella presunta messa in scena dell’allunaggio. Gli indizi principali, che il regista avrebbe lasciato, sono tre: il maglione del piccolo Danny, che ritrae proprio l’Apollo 11; la stanza 237, che si pensa sia la stanza della luna e il pavimento dell’hotel sul quale Danny gioca con le macchinine, che ricorda la base di partenza dell’Apollo 11.
Secondo questa teoria, con Shining Kubrick chiede scusa per aver contribuito alla farsa della NASA.
La terza ipotesi, quella secondo me più probabile, presuppone che Kubrick si sia ispirato alla legenda del Minotauro. Il labirinto presente nel film viene equiparato a quello in cui Teseo si addentra per sconfiggere il Minotauro. In Shining, il Minotauro sarebbe rappresentato proprio da Jack. In una scena, infatti, possiamo notare affisso al muro un quadro che sembrerebbe ritrarre un Minotauro. In un’altra scena, Jack sta osservando la miniatura del labirinto e subito dopo vengono inquadrati Wendy e Danny che giocano all’interno del labirinto vero e proprio. Poi la camera torna su Jack, ritratto con uno sguardo furibondo mentre osserva la sua famiglia che esce dal labirinto.
Dopo aver passato circa una settimana pensando al significato di questo capolavoro e dopo aver ascoltato e letto tutte le teorie possibili e immaginabili sul film, sono giunta a una mia ipotesi: Kubrick ci ha preso tutti in giro. Sarebbe troppo scontato pensare che da quella mente geniale possa scaturire soltanto un film che nasconde una qualsiasi teoria tra quelle citate sopra. Credo invece che Kubrick lo abbia fatto apposta, che abbia voluto inserire apparenti errori di montaggio e diversi segnali ambigui solo per provocare queste reazioni da parte degli spettatori. Con la sua tipica meticolosità nei dettagli, non può aver commesso errori di montaggio senza farlo apposta. Dunque, il mio tarlo si è quasi calmato, se non fosse per una sola piccola cosa: non ho ancora capito il perché inquadrare, alla fine del film, una foto in bianco e nero nel quale è ritratto Jack negli anni ’20. Mille ancora sono le domande che mi pongo e credo che a molte di esse non riuscirò a rispondere. Nel frattempo rivedrò Shining. E se voi non lo avete ancora visto, non aspettate a farlo!

Chiara Ceppari

Chiara Ceppari

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