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Carriera e morte di Pasolini

da 7 Mar 2020Culture, In primo piano2 commenti

“Il sogno del poeta era impuro, nasceva da abissi di dolore ingiustificato, degno di quello dei borghesi tra cui era nato, e si trasformava ingiustamente in una libidinosa ansia d’azione” (La Divina Mimesis, Appunti di Pasolini)

Pier Paolo Pasolini, classe 1925, non fu semplicemente poeta, regista, sceneggiatore e romanziere: secondo molti fu più un crociato della cultura contro i medium di massa e l’ipocrisia della società borghese; un personaggio indubbiamente scomodo a molti. Incredibilmente avanti per i suoi tempi, dichiaratamente omosessuale, fu un personaggio anomalo nel quadro dell’Italia della Dolce Vita e dei primi anni di piombo. Nato in una famiglia agiata del Friuli Venezia Giulia, Pasolini non si sentì mai parte di un ambiente che riteneva ipocrita e moralmente deformante, preferiva frequentare il sottoproletario che considerava genuino perché non ancora corrotto dall’ingannevole suadenza della cultura. La cultura, secondo Pasolini, bisogna possederla in modo eclettico e approfondito, altrimenti porta a una mistificazione della realtà, facendo illudere di essere i soli detentori di verità. Un esempio di questa sua visione fu la sua presa di posizione durante la contestazione giovanile del 1968. Pasolini attaccò aspramente i giovani da lui definiti “borghesi”, accusandoli di portare avanti una battaglia di cui loro non conoscevano realmente motivo, origine e eventuale esito.

Dopo gli scontri di Valle Giulia, Pasolini polemizzò con gli studenti e difese i poliziotti, membri dei ceti bassi, comunque “dalla parte del torto”, ma trovatisi lì per un giuramento che gli permetteva di portare del pane in casa a fine giornata. Lo scrittore, pur continuando a condannare l’istituzione che quei poliziotti rappresentavano e di cui erano loro stessi vittima, non vide colpe, corruzione, o fanatismo politico nei celerini, ma un semplice bisogno di sbarcare il lunario. Questa scelta atipica sancì il suo forzato allontanamento da parte di tutte le forze di sinistra, ambiente nel quale era già stato isolato a causa di una condanna per omosessualità che gli costò l’espulsione dal PCI nel 1949. Allo stesso tempo, quelle di destra lo ripudiavano per altri ovvi motivi, ideologici e non. D’altronde, la solitudine fu una componente essenziale nella vita del poeta.

“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica solitudine, che è la mia debolezza”

In tutte le sue opere Pasolini trattò temi sociali molto profondi e attuali – a quel tempo e ancora oggi – privilegiando il sottoproletariato, schiacciato e dimenticato da una nuova Italia capitalista, di stampo americano, dimentica delle sue origini. Definì la televisione un medium di massa che forniva modelli di vita da idolatrare ed emulare ad ogni costo, creando quindi, a detta sua, un rapporto spaventosamente antidemocratico tra soggetto trasmesso e telespettatore. Il poeta affermava che la televisione era un untore di nervosismo e senso di inadeguatezza, che irrimediabilmente portava all’omologazione, con conseguente distruzione della varietà delle culture.

Venne processato per un totale di 33 volte, nella maggior parte dei casi accusato di aver presentato al pubblico personaggi a volte amorali, altre immorali, i quali in realtà erano stati dimenticati da una società  che si ostinava a far finta di non vederli, e quindi costretti alla sopravvivenza ad ogni costo. Nel 1956 venne querelato per “letteratura oscena”, oggetto in causa il suo primo romanzo, ”Ragazzi di vita”,  tacciato di essere eccessivamente volgare perché scritto nel gergo delle borgate romane, ma venne accusato anche di prostituzione maschile di minori; fu la prima volta che Pasolini dovette difendere una sua opera in tribunale. La sua difesa si fondò sulla tesi del Realismo, che venne completamente condivisa da un altro poeta, emblema dell’Italia della prima metà del Novecento: Giuseppe Ungaretti. Una seconda intesa ci fu con il critico letterario cattolico Carlo Bo, il quale definì l’opera come ‘un romanzo cristiano’, pieno di valori religiosi come la pietà verso i più bisognosi. Queste testimonianze aiutarono Pasolini ad essere assolto con formula piena nel luglio dello stesso anno. Nel 1962, dopo la prima proiezione sul grande schermo del suo film con Anna Magnani, ‘Mamma Roma’, il film venne ritirato da tutti i cinematografi per via del personaggio interpretato da Nannarella: una madre costretta a prostituirsi per assicurare un futuro al proprio figlio. La pellicola venne poi riabilitata ma con il divieto per i minori di 18 anni, cosa mai successa prima d’allora in Italia.

La morte

Pasolini si definiva un intellettuale impegnato a seguire tutti gli avvenimenti della società contemporanea, cercando di trovare il filo rosso che collegasse fatti disordinati e caotici, passati e presenti, di una società che appariva arbitraria e casuale. Un personaggio come Pasolini, privo di vincoli politici, era in grado di denunciare scorrettezze e ingiustizie senza farsi troppi problemi. Una figura del genere era indubbiamente scomoda e pericolosa. Il caso dell’assassinio del poeta Pier Paolo Pasolini, fu caratterizzato da un alone di mistero; nonostante l’artista friulano facesse storcere il naso a molti, al caso della sua uccisione si interessarono tutti, chi per gioia chi per sgomento, perché comunque veniva riconosciuta la morte di un potente divulgatore.

La mattina del 2 Novembre 1975 viene segnalato un cadavere nella strada principale di una periferia di Ostia, l’Idroscalo. Al suo arrivo la polizia riconosce subito il corpo del poeta, ma viene comunque chiamato Ninetto Davoli, collega nonché amico stretto di Pasolini, per identificare il corpo. Un corpo massacrato: 10 costole rotte, le falangi spezzate, naso schiacciato all’interno del volto, cranio fratturato, più varie escoriazioni su tutto il corpo. Sul presunto luogo del delitto vengono rinvenuti diversi oggetti: un anello d’oro, una camicia e una tegola di legno insanguinata con su scritto ‘Via dell’Idroscalo’. 

Come primo sospettato viene indiziato Pino Pelosi, ragazzo arrestato dai carabinieri all’alba dello stesso giorno perché trovato, minorenne, a guidare la macchina del defunto poeta sprovvisto di patente. Secondo la sua deposizione lui si trovava nei pressi di Piazza dei Cinquecento quando Pasolini lo abbordò in auto, i due in seguito sarebbero andati a cena nell’osteria ‘Il Biondo Tevere’. A cena conclusa Pasolini avrebbe offerto ventimila lire al giovane minorenne in cambio di prestazioni sessuali; il ragazzo accettò, rimontarono in auto e partirono alla volta di un posto più tranquillo, che il poeta conosceva. I due, arrivati all’Idroscalo, si appartarono al lato di un campetto, non troppo distante da dove poche ore dopo sarebbe stato ritrovato il cadavere massacrato di Pasolini, e incominciarono i loro rapporti. Sempre secondo il racconto di Pelosi, a un certo punto lui si rifiutò e d’un tratto Pasolini si fece violento, Pelosi scappò, Pasolini si armò di bastone e lo rincorse. Nell’inseguimento Pelosi cadde, il poeta lo raggiunse e lo colpì più volte, mentre il ragazzo continuava a cercare in terra qualcosa con cui potersi difendere. Afferrò saldamente una tegola di legno e la scagliò ripetutamente contro la testa di Pasolini, fino a farlo cadere privo di sensi. A quel punto Pelosi gli rubò la macchina per scappare e nella fuga lo investì. Per la polizia è tutto molto semplice: dopo le tentate molestie omosessuali, Pasolini fu aggredito per legittima difesa da Pino Pelosi e morì per dissanguamento: caso chiuso. 

La Destra lo deride, la Sinistra lo lascia completamente solo; com’era già successo nel ‘49, a Casarsa, in Friuli, quando Pasolini fu denunciato per oscenità e indegnità morale, colto dalla Polizia a intrattenere rapporti con dei giovani. Per il PCI era intollerabile il rischio di macchiare la reputazione del partito con lo sdegno di avere un omosessuale tra le sue fila, quindi, alla sola denuncia, Pasolini venne allontanato. Cosa che successe nuovamente nel ‘75, a seguito del suo omicidio. 

In molti non si lasciarono convincere da questa sentenza. Prima tra tutti la giornalista Oriana Fallaci, grande amica del defunto poeta, la quale iniziò una controinchiesta a riguardo, aiutata da altri giornalisti de L’Europeo. Saltarono fuori tre nuovi testimoni, che diedero tre tesi diverse ma con un solo dettaglio comune e degno di nota: la partecipazioni di terzi. Tutte e tre le testimonianze vennero scartate dal tribunale di Roma, sia perché alcune vennero ritirate, altre perché i giornalisti non vollero rivelare le proprie fonti. Nonostante ciò la Fallaci non si arrese, e con la sua squadra evidenziò una serie di errori che, a detta loro, avrebbero penalizzato l’inchiesta condotta dalla polizia.

La mattina del 2 novembre ‘75, all’arrivo dei giornalisti, i curiosi che abitavano nelle vicinanze camminavano liberamente per il luogo del delitto, cancellando inavvertitamente prove che si sarebbero potute rivelare vitali per l’inchiesta. Alcuni reperti rinvenuti intorno al cadavere vennero spostati o consegnati in seguito, come l’anello d’oro di Pasolini. La macchina rimase nelle mani dei carabinieri e venne consegnata alla scientifica quasi una settimana più tardi. 

Inoltre, fino a quel punto si credette che Pasolini fosse morto per dissanguamento a seguito dei colpi ricevuti alla testa e al ventre, ma la perizia medica fornì ulteriori dettagli utili a chi non si dava a bere la storia di Pino Pelosi. Dai dati dell’autopsia risultò che a Pasolini scoppiò il cuore dopo essere stato investito. I conti non tornavano. Per giunta il corpo di Pasolini era stato pesantemente massacrato da colpi al cranio e al basso ventre. Si trattava di ferite profonde, che potevano esser state causate solamente da corpi contundenti. Come potevano essere state inflitte da bastoni e tegole infracidite? Per di più Pasolini era un uomo in perfetta forma fisica e atletico, quindi come poteva, Pino Pelosi, una ragazzo di 17 anni e di un metro e settanta di altezza, sopraffare il prestante poeta? Un ulteriore elemento che contribuì a far vacillare la deposizione di Pelosi fu la camicia insanguinata di Pasolini, trovata dietro alla porta del campetto, distante da dove il corpo giaceva esanime. In tutto ciò Pelosi riportò esclusivamente ferite superficiali, e i suoi vestiti erano puliti. Possibile che nella colluttazione fosse riuscito a non macchiarsi del sangue di Pasolini? Poco probabile. Da qui la parte civile ipotizza che Pelosi sia stato aiutato, oppure, che non abbia partecipato affatto allo scontro. A confermare ciò vi erano altri due indizi: la presenza, all’interno della macchina, di un maglione e di un plantare non appartenenti a nessuno dei due, e delle impronte di suole vicino alla porta del campetto non corrispondenti né all’uno né all’altro. Ormai sembrava indubbio: quei due quella notte non erano soli. 

Riassumendo: secondo la tesi della parte civile, quella sera degli estranei trascinarono Pasolini fuori dall’auto e lo uccisero con oggetti pesanti e contundenti, Pelosi preso dalla paura rubò la macchina e nella fuga lo investì, dandogli il colpo di grazia. Il motivo? Nel contesto degli anni di piombo sembrò ovvio pensare a ragioni politiche. Il tribunale accolse la tesi della parte civile e Pelosi venne rinviato a giudizio. Il processo si concluse il 26 Aprile ‘76, Pelosi venne condannato a 9 anni e 7 mesi di carcere per omicidio, atti osceni e furto aggravato, con concorrenza di persone rimaste ignote. Il 4 Dicembre dello stesso anno la sezione per i minorenni della Corte D’Appello di Roma modificò la condanna, depennando le accuse di furto e atti osceni, ma confermando quella di omicidio, senza concorso d’ignoti. Il 26 Aprile ‘79 venne riconfermata la prima sentenza, e il concorso d’ignoti venne considerato ‘poco probabile’. Caso chiuso. 

I suoi cari rimasero comunque con una profonda amarezza; famoso è il discorso che fece Alberto Moravia al suo funerale. Ma perché era morto Pier Paolo Pasolini? C’è chi dice che venne ucciso da uno di quei ragazzi di cui parlava nei suoi romanzi, chi crede che qualcuno volesse dargli una lezione… altri invece parlano di complotto. Non va dimenticato che il poeta in quegli anni stava scrivendo un libro inchiesta, ‘Petrolio’, su uno dei casi più neri della cronaca italiana: l’omicidio di Enrico Mattei. Così, l’alone di mistero che caratterizzò sin dall’inizio le indagini dell’omicidio, purtroppo, non si dissolse; di certo rimane che l’Italia perse uno degli uomini più validi e intelligenti che avesse mai avuto.

Fonti: Blu Notte, i grandi misteri d’Italia, Pier Paolo Pasolini; Un delitto italiano Pasolini.

Gabriele Albertini

Gabriele Albertini

Gabriele Albertini

2 Commenti

  1. Mike

    Sono lieto di invitare tutti a guardare il film, è realistico, grandi attori, la trama è una bomba, alla fine sono scoppiato a piangere!)

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  2. Miley

    Ogni stagione aspetto in vacanza – forse questa è la mia serie preferita, se parliamo di progetti moderni

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