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Domenica creativa – Arancione chimico

da 2 Feb 2020Creazioni, In primo piano1 commento

Ho le lenzuola arancioni. Ho anche lo smalto, arancione. Ma mica un arancione qualsiasi. Il mio è un arancione particolare, un arancione chimico. Chimico perché quando torno a casa dopo un sabato sera di alcool e altro, a ballare in tiro con le amiche e a giocare coi boys, quell’arancione là mi prende dentro e mi avvolge, mi protegge. L’arancione chimico, in queste notti qua, è mio amico. La mattina dopo, però, quando mi sveglio strafatta, ma così strafatta che non riesco nemmeno a occupare una qualche postazione nello spazio verticale, come dice la Miss, la mattina dopo, davvero, quell’arancione mi dà fortemente al cazzo. Ma anche no. Che’ può pure essere che sia io, a darmi al cazzo. Sempre l’amica mia Miss, che è tosta sul serio e se la tira pure da femminista, dice che quando sto così è perché mi girano le ovaie. Come è, è:  oggi è una di quelle mattine, e c’è poco da fare. 

Sono stata con Luca, stanotte. Abbiamo cominciato a baciarci e siamo finiti a fare altro, o quasi. Questa è la storia. E davvero ora non capisco che l’ho fatto a fare. E’ che pensavo mi piacesse. Davvero, ne ero convinta, tutti i pori della pelle erano lì a urlare: Luca! Luca! Come quel film con loro che sorvegliano gli extraterrestri che vivono sulla terra, con quello strafico, il nero con un corpo da paura, e l’altro, il vecchio, che’ però, dài, è simpatico. Nel film c’è un armadietto, ché se tu lo apri, ci sono dei minuscoli esseri buffi e un po’ stupidi che ci stanno dentro e appena ti vedono, ti osannano. Ecco. Io mi sentivo come uno di quegli esserini buffi, e un po’ idioti; e Luca era lo strafico che apriva la porta dell’armadietto. Ero bella che andata, sempre lì a sbavare appresso a lui, e mi acchittavo ogni volta, lo smalto, il rossetto, i leggins che sono di moda e a me mi stanno da dio, dice la Miss, comprali comprali, ché poi Luca non ti si spiccica più di dosso. Ero proprio andata, partita per la tangente.

Questo prima, però. Prima di stanotte. 

Perché a un certo punto, nada, finished, niente più esserini buffi, niente più strafico, per me. Ogni brivido era sparito, dissolto, dimenticato. Non so esattamente quando. Forse quando io e la Miss nel suo completo violetto da gran donna siamo arrivate alla festa e lui subito si è girato a guardarmi, e poi ha chiesto ad Alberto di mettere gli Spandau Ballet ed è venuto a invitarmi a ballare. Sì, forse lì. Cazzone. Ma che non lo sai che quella è roba vecchia e sdolcinata? Ma non eri uno fico, tu? E non sai che la musica anni ’80 ormai è andata, da almeno un anno? Che volevi fare, smerdarmi davanti a tutti? Prendermi in giro? O suicidarti pubblicamente?

E comunque me n’ero già accorta che mi filava, pure la Miss, che non se lo fa mandare a dire, se n’era accorta. E io fino a un certo punto me la sono tirata alla grande. E mi sono pure divertita. Ma dentro, dentro dove c’è il mio mondo arancione, lì, proprio lì, la verità è che io lì già mi annoiavo, già mi perdevo nei pensieri, già avevo dimenticato. Ora, a ripensarci, non credo sia stato per gli Spandau Ballet, no. Era lo stesso se metteva i Radiohead, o Anastasia.

La verità è che io volevo solo andare via. Via da quella festa di sballati, dove sei qualcuno se hai fatto uno stupido video urlando Italia…. Uno! o se la sera spendi almeno 100 euro in cocktail o pasticche. Come se tutto il mondo finisse lì, nei sabato sera, nelle ricreazioni,  nella televisione e negli amici. 

Eppure ci sono stata, sul divano di casa di Alberto, pura pelle nera, gran lusso. Ci sono stata, a smerdarmi di saliva appiccicosa di Luca, a sentire le sue mani stupide sul mio seno, il suo membro che si induriva e lui che cercava di infilarlo tra le mie cosce. E il perché, davvero non lo so. Il mio corpo era là, a compiacere il resto del mondo, ma io, nel frattempo io, io me n’ero andata, andata via, nei miei pensieri, nel mio mondo arancione. Un po’ incazzata, a dire il vero. Ché non è mica possibile, così. No, dico: mi piace uno fino a morirne, tanto ché mi compro pure quella merda di leggins solo perché so che a lui piacciono, ché mostrano bene le chiappe, e mi metto pure a ballare gli Spandau Ballet, davanti a tutti. 

E poi di colpo eccolo là che non me ne frega più niente di lui, né di piacergli, né di quello che mi sta facendo sul divano. E mi incazzo, m’incazzo da morire. Giuro, lo prenderei a schiaffi, per quanto mi risulta indifferente. Ti prenderei a schiaffi, Luca, per quanto mi fa schifo la tua saliva nella mia, per quanto la tua voce è così uguale alle altre mentre mi sussurri che ti attizzo, per quanto i tuoi occhi mi ricordano quelli di quei dannati pesci rossi che si vincono alle fiere di paese. E la mattina dopo che ci sono stata, che ci siamo baciati e strusciati e quant’altro, mi sento così, strafatta, priva di posizione verticale, priva di qualunque posizione, in questo mondo.

La Miss dice che è perché mi sfrango di noia, dovrei passare all’hard sex. Cazzate. La Miss dice solo cazzate, questa è la verità. E’ buona solo a coniare nuovi termini o copiare quelli che crede vadano forte e la facciano sembrare più trendy.

E ora qui, circondata di arancione, del mio arancione, mi chiedo che vivo a fare. Questa vita è sciatta, consumata, è una vita umida e appiccicosa, senza emozioni, e non riesco a scrollarmela di dosso. Sarò io, forse, o sarà la vita, non me ne importa mica, di saperlo, ora. Ed ecco che neanche l’arancione mi dice più niente. Chimico o non chimico, non mi protegge più dai miei sedici anni di merda.

Veronica Giannini

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1 commento

  1. GIORGIO Giannini

    Non posso dire : “mi piace” perché non sarebbe esatto e non sarebbe corretto, verso me stesso e verso chi ha scritto. Posso dire : “Mi intriga. Mi mette in difficoltà. Mi preoccupa”.
    Al dunque vorrei solo capire come nasce, se è un prodotto spontaneo o forse una creazione inconscia, liberatoria. Vorrei che chi ha scritto non avesse mai sofferto fino a quel punto, che non avesse mai nemmeno pensato di soffrire così, che riuscisse prima o poi a sorridere a se stesso e ad altri, col piacere di farlo. G.G.

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