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In trap

da 28 Nov 2017Culture0 commenti

Negli anni ’70 nasce in America il rap. Il periodo di massima diffusione del genere si ha tra la metà degli anni ’80 e durante gli anni ’90 (la “Golden Age” del rap), con l’affermarsi di artisti del calibro di Tupac, Ice Cube, Snoop Dog e The Notorious B.I.G. che lasceranno poi il testimone ad altre icone come Eminem, 50 cent e Drake.

In parallelo, negli anni ’90, ad Atlanta nasce un sottogenere del rap, la trap. Il genere conquista un po’ di spazio dal 2010 e in pochi anni riesce a contagiare l’intera America, scalando le classifiche e diventando la colonna sonora della maggior parte delle tipiche feste americane.

Tutto ciò mentre in Italia, sempre negli anni ‘90, si sta appena diffondendo il rap. Bassi Maestro, i Colle der Fomento, Joe Cassano, i Sangue Misto, Piotta, gli Articolo 31 e altri rapper iniziano a farsi strada, spalancando le porte agli artisti del nuovo millennio, come Fabri Fibra, Caparezza, i Club Dogo e i Cor Veleno, che portano il genere in cima alle classifiche. Dal 2010 il numero di rapper in Italia aumenta a dismisura.

Perchè la trap sbarchi nel nostro paese dobbiamo aspettare il 2011, anno d’uscita del primo album solista di Gué Pequeno, membro dei Club Dogo, “Il ragazzo d’oro”. Tra le 16 tracce, la title-track del disco si differenzia dal classico rap e si avvicina alla trap americana. In Italia se ne inizia a parlare e alcuni giovani rapper, che hanno provato a sfondare ma con scarsi risultati nel mondo del rap, approcciano il nuovo genere, ottenendo il successo sperato. Fra loro Ghali, Sfera Ebbasta, Tedua e Izi.

Il termine ‘trap’ si traduce in ‘trappola’ ed è un riferimento alla difficoltà da affrontare per uscire dal tunnel della droga. Un tema del genere si basa sul passato degli artisti, che hanno vissuto (specialmente gli americani) la loro adolescenza per le strade di quartieri malfamati, proprio tra droga, sesso e denaro. Forse la differenza principale tra la trap americana e quella italiana è proprio il contesto in cui sono cresciuti i rapper. È noto che in America tantissimi ragazzi si trovano a vivere per le strade, tra scontri di gang e periferie malsane. Anche alcuni artisti italiani provengono da quartieri non del tutto tranquilli, come Sfera Ebbasta, che proviene da Cinisello Balsamo, un quartiere malfamato di Milano, ma molti altri sono cresciuti in famiglie benestanti. Impossibile non citare la Dark Polo Gang, composta da quattro ragazzi provenienti da una delle zone più ricche di Roma, i Parioli.

In Italia c’è una netta divisione tra chi ascolta la trap e chi non ne può nemmeno sentir parlare. Queste divisione ha diverse cause: la mancanza di veri talenti, la monotonia e la banalità dei testi (come quelli di Capo Plaza). Ma un ruolo importante nel creare la pessima reputazione della Trap nel panorama musicale italiano l’ha avuto proprio la Dark Polo Gang, che ha portato il genere sulla via del trash vero e proprio.

C’è anche chi prova a portare un’aria di freschezza nel genere, come Ernia, il vero rivoluzionario della scena rap/trap italiana. Ex membro della Troupe D’Elite (in cui era presente anche Ghali), dopo l’uscita a testa bassa dalla scena torna in una veste del tutto nuova. L’artista milanese non è un vero e proprio cantante trap, poiché utilizza basi tipiche del genere, ma ci rappa sopra. Con l’uscita dell’album “67/Come uccidere un usignolo” si elegge come una delle penne più calde dell’intera scena italiana, con brani raramente scontati, che spaziano dal rap nudo e crudo al tipico cantato in autotune della trap.

Purtroppo l’artista non sta ricevendo la fama che merita, sommerso da decine di presunti talenti che trattano sempre i soliti temi. Probabilmente Ernia non è ciò che la scena italiana si merita, ma è ciò di cui avrebbe bisogno.

Angelo Ceppari

Angelo Ceppari

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