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Verga e la fotografia

da 23 Mag 2020Culture0 commenti

No, non sono sfuggito al contagio fotografico e vi confesso che questa della camera nera è una mia segreta mania

Giovanni Verga

Finalmente tutti gli studi effettuati nell’ambito filosofico, artistico e scientifico, da grandi figure come Aristotele, Leonardo da Vinci ed Heinrich Schulze si tramutarono in realtà: nel 1839 nacque ufficialmente la fotografia. Questa si dimostrò uno strumento del tutto innovativo, ma soprattutto agile nel descrivere al meglio il processo di industrializzazione di cui il XIX secolo è completamente imbevuto: non solo questo strumento, ma anche il cinema, ufficialmente nato circa 55 anni dopo, furono protagonisti di celebri rappresentazioni del secolo decimonono.

La fotografia fu il risultato di processi elaborati e piuttosto complessi: furono molti coloro che si impegnarono nel rendere questo strumento più attendibile e affascinante possibile, riuscendo a creare un’abile sintesi tra l’arte e la realtà. Questo processo si rifletté nell’arte in sé nel momento del Realismo che prese vita in Francia, partorito dai moti del ’48 e dall’audacia del celebre pittore Courbet, che nel ’55 mette a punto un proprio Pavillòn du Réalisme (padiglione del realismo) con il fine di distruggere, una volta per tutte, i rigidi canoni accademici, dando vita a rappresentazioni spontanee della realtà quotidiana che denunciassero, nella loro semplicità, l’ipocrisia della nuova classe borghese, senza incombere in sentimentalismi, per mezzo di un atteggiamento lucido, razionale e impersonale. 

Traslato nella letteratura, questo atteggiamento che nell’arte è il vessillo orgogliosamente innalzato da fotografi e realisti, sembra rispecchiare al meglio i caratteri dell’impersonalità di Giovanni Verga. Nato nel 1840 a Catania, egli fu il massimo rappresentante del cosiddetto “Verismo”, sviluppatosi parallelamente al “Naturalismo” francese e a un più ampio atteggiamento che prese vita in questi anni: il “Positivismo”. Tipico di intellettuali, pittori, filosofi o qualsivoglia esponente di ogni ambito culturale, fu proprio lo studio degli elementi “positivi”, ossia di fatti analizzabili oggettivamente e dimostrabili sperimentalmente. Attraverso il fluire dei propri capolavori letterari, incrementando questi con rappresentazioni fotografiche inerenti ai discorsi trattati, l’autore ebbe come fine quello di analizzare la realtà nel modo più lucido, razionale e impersonale possibile, senza filtrare nulla attraverso la lente dell’autore e ponendo il lettore davanti al fatto nudo e schietto. Fotografie di contadini, bambini al lavoro, operai impegnati nelle miniere, galantuomini, paesi dai muri screpolati, abitati da personaggi segnati dall’età e dal lavoro, si sono dimostrate essere la perfetta trasposizione di ciò che Verga lasciava trasparire dalle proprie opere: dal riferimento all’inchiesta Franchetti-Sonnino al darwinismo sociale e la “fiumana del progresso” della “Prefazione a I Malavoglia”.

L’obiettivo di Verga fu quindi quello di sfruttare una forma d’arte che fosse indipendente dall’intervento umano: uno strumento, all’apparenza, del tutto oggettivo, che permettesse allo scrittore di vestire i panni di un vero e proprio scienziato. Tuttavia fu dimostrato da grandi autorità, quali Einstein nella scienze e Pirandello nella letteratura, che la fotografia e, più in generale, l’analisi scientifica della realtà non è del tutto impersonale: questa dipende da chi ne effettua il processo di ricerca, dallo strumento utilizzato e da altri numerosi fattori. Lo scrittore di Girgenti fa comprendere come per lui la fotografia sia ricca di sfaccettature, un “puzzle” di significati, simboli e metafore.

Purtroppo oggi un grande strumento come la fotografia non ha più l’intento “genuino”, impegnato, di molti anni fa. La rappresentazione del reale e la denuncia sociale del quotidiano hanno lasciato spazio alla raffigurazione del falso e dell’ipocrisia. In un mondo sempre più dominato dai social network la verità viene sepolta e nascosta sotto una veste fallace e ingannevole. Abbiamo osservato come leggendo Verga ci sentiamo immersi in una storia di cui non sappiamo nulla, come se i personaggi si fossero creati da soli; interpretando la fotografia odierna molto spesso si giunge allo stesso risultato, in quanto solitamente siamo consapevoli del fatto che un semplice scatto fotografico ha la possibilità di attraversare miriadi di filtri, in modo tale da risultare completamente differente dalla sua forma originale. La sostanziale differenza tra un celebre autore come Verga e un comune ragazzo dell’età odierna è il fatto che mentre lo scrittore aveva come fine quello di dar vita a una rappresentazione del reale in sé, attraverso l’impersonalità, l’eclissi e un’analisi lucida e razionale, l’obiettivo dei secondi è quello di manipolare la realtà a proprio gusto e piacimento, in modo tale da dare più importanza all’apparire che all’essere. Fortunatamente ancora oggi molti ragazzi credono ancora nella fotografia come una nobile forma d’arte, capace di sublimare l’animo umano e, al contempo, narrare in maniera figurativa il reale, senza alterarlo. La purezza della fotografia sta nel nobile intento di chi scatta l’immagine: segnare nella storia un attimo che mai più si ripeterà, cercando di emozionare l’osservatore, rendendo vivo e immortale un momento che appartiene al passato e che può riemergere solamente passando attraverso il ricordo e l’immaginazione.

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