Il 25 aprile oramai è passato e per noi studenti ha rappresentato, come sempre, solo una giornata di riposo; in realtà ignoriamo quello che è il significato dell’anniversario della liberazione d’Italia.
Come studente dell’ I.I.S.S Leon Battista Alberti, in viaggio d’istruzione aTrieste, ho avuto la possibilità di visitare alcuni tra i luoghi più significativi della seconda guerra mondiale.
Nella mia camera d’hotel, seduto accanto alla finestra, con lo sguardo fisso sullo schermo del portatile ho un po’ freddo. Tutto sommato è una giornata tranquilla. Forse, se non ci fosse stato un 25 aprile 1945, questa tranquillità attorno a me non esisterebbe.
Sono appena rientrato da un’intensa giornata passata alla “Risiera di San Sabba”, l’unico lager nazista in Italia.
La risiera mi è sembrata più un oscuro luogo surreale che qualcosa di concreto e realmente esistito. Le autorità tedesche la usavano per smistare le persone che dovevano andare nei campi di concentramento in Germania o per uccidere i prigionieri considerati più pericolosi con un colpo di mazza alla nuca o con una fucilazione.
Il percorso all’interno del campo di concentramento ha avuto inizio nella “sala della morte”, dove i prigionieri venivano brutalmente ammassati in sei o più all’interno di stanzette dalla capienza massima di una persona. La sala contiene circa 6 stanze, ma solamente 5 erano utilizzate per “accogliere” i detenuti, la prima era invece preposta alla tortura degli stessi.
In preda allo sgomento causatomi da quelle immagini di terrore, mi dirigo verso la “Sala delle croci” (così chiamata per la forma delle travi sul soffitto). Lì sembra tutto più tranquillo, fin quando dei fogli affissi lungo tutto il perimetro della sala non catturano la mia attenzione: sono copie dei diari dei detenuti, parole di rancore, di paura, di odio. Parole di dolore.
Leggendole credo di aver realmente avvertito almeno un decimo dell’orrore di quelli che, uomini come me, vivevano ogni giorno di permanenza in quell’incubo come un passo verso l’unica libertà possibile… la morte.
Ansioso di uscire da quella struttura dalle alte pareti di cemento armato, entro nell’ultima sala: un piccolo museo contenente reperti della vita all’interno della risiera e tre fotocopie con accanto la foto di un giovane studente di ingegneria. Sono le fotocopie della lettera inviata da lui alla sua fidanzata; su quei semplici fogli di carta sono impresse parole fortissime, parole che mi hanno causato un indescrivibile senso di vuoto e incompletezza.
“Libertà”.
Probabilmente questo è stato il primo anniversario della liberazione d’Italia che ho vissuto pensando al vero significato della parola liberazione.
La memoria serve anche a questo: a capire il significato di una parola.
Diego Belfiore
0 commenti