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Scuola “preistorica”: l’Italia è indietro?

da 17 Mar 2023In primo piano, Presente0 commenti

La scuola italiana è sempre stata una tra le istituzioni scolastiche più imponenti al mondo, e i ragazzi italiani sono tra i più preparati e istruiti. Tant’è vero che, non di rado, i nostri giovani emigrano per disoccupazione verso Paesi con una migliore qualità della vita, e giungono a noi le notizie di connazionali che hanno fatto rivoluzionarie scoperte scientifiche che favoriranno lo sviluppo tecnologico o magari hanno ritrovato reperti storici che porranno un fondamentale tassello di un puzzle per la ricostruzione della storia dell’umanità; si parla genericamente di “fuga di cervelli”, che comporta la perdita di forza lavoro e di giovani ben qualificati e abilitati.

Ma qual è il prezzo che gli studenti italiani “pagano” per ottenere certi risultati? Si tratta solo di propensione naturale? Chiaramente no. Tutti i bambini del mondo nascono con potenzialità quasi pari, ed è il modo in cui questa potenzialità si trasforma in abilità che determina le capacità della persona in età adulta. Il ruolo dello Stato e dei genitori nei riguardi dei bambini sta proprio in questo modello di educazione. A questo punto è bene giungere al fulcro della questione: i ragazzi italiani sono tra i più stressati d’Europa

Tante le voci e i lamenti di ragazzi indignati, che non riescono a vivere serenamente la loro adolescenza per la mole di studio insostenibile o per l’ansia e lo stress delle interminabili interrogazioni e verifiche, o per i pesanti compiti a casa. Ma potremmo mettere in luce moltissimi dei problemi scolastici in Italia: un’edilizia che va in pezzi in buona parte del territorio, in particolar modo al sud; un tasso di dispersione scolastica tra i più alti d’Europa; una dotazione tecnologica mediocre, con laboratori mancanti di attrezzature adeguate o con computer datati di una ventina d’anni se va bene; e si potrebbe continuare ancora a lungo. Arriviamo però al tallone d’Achille del nostro sistema scolastico: il programma didattico italiano è trasmesso agli alunni per mezzo di un metodo d’insegnamento che è rimasto invariato per secoli; la scuola odierna è rimasta tale e quale a quella dei nostri nonni. 

Il nostro Paese dovrebbe prendere esempio dalle altre nazioni d’Europa, che hanno riadattato il loro modello educativo alla società che è in continua crescita e movimento.

Il modello educativo prevalente in Italia è un insegnamento di tipo frontale, che prevede una trasmissione di informazioni dall’insegnante all’alunno, che è così costretto a un ruolo spesso passivo e poco stimolante. I più “maturi” insegnano ai più “ignoranti” e, conseguentemente, i più piccoli assorbono le informazioni dagli adulti, senza che ci sia interesse però nell’incoraggiare la creatività, il senso critico o la capacità di problem solving, ovvero di risoluzione di situazioni problematiche con il ragionamento. Lo studente va spronato a ricercare le risposte alle proprie domande e spinto a formulare questioni sempre nuove per poter crescere e diventare indipendente e attivo nello sviluppo della società; se si punta solamente al passaggio di informazioni dalla generazione precedente a quella successiva, il risultato è una progressione pari a zero del livello di sviluppo. 

Altri tasti dolenti sono la mancanza di cooperazione tra gli studenti o l’assenza di empatia da parte degli insegnanti nei confronti dei ragazzi, a causa di un’impostazione che vede lo studente e la studentessa come dei numeri, dei voti; voti bassi sono collegati ad assenza di capacità e intelligenza, voti alti a diligenza e doti  dell’alunno. Cosa ne consegue? Gli alunni con voti inferiori cominciano a provare un senso di sfiducia in se stessi, si percepiscono senza talento o valore e sono totalmente abbattuti; d’altra parte i ragazzi più diligenti si attaccano ai voti, avvertendoli come l’unica fonte di soddisfazione e come l’attestazione delle loro capacità e dei loro sforzi. Sviluppano una forte competitività e cominciano a disprezzare se stessi ogni qualvolta non viene raggiunto il massimo livello. 

Come fanno fronte a queste difficoltà negli altri Stati?

Si prenda l’esempio della Finlandia, che oggi è uno dei Paesi con sistema educativo tra i più virtuosi al mondo, tant’è vero che ha investito moltissimo nelle scuole negli ultimi decenni. Il risultato è stato un passaggio da una delle nazioni più povere del mondo industrializzato al Paese più felice al mondo secondo il World Happiness Report 2020.

Cosa hanno di rivoluzionario le loro scuole? Innanzi tutto il corpo docenti finlandese è tra i più giovani in Europa, non per niente il 57% degli insegnanti ha un’età inferiore ai 50 anni; eppure i docenti finlandesi ricevono una formazione di alto livello: si diventa maestri dopo una magistrale e una specializzazione, inoltre, nel corso degli studi universitari i futuri maestri iniziano a insegnare in una scuola materna come docenti aggiunti.

È stata eliminata in ogni modo la competizione, spingendo invece alla cooperazione e al lavoro di gruppo. Il loro è un modello didattico che abolisce la cattedra centrale e in cui l’insegnamento frontale viene ridotto al minimo possibile. Per legge si deve concedere ai bambini una pausa di 15 minuti ogni ora di lezione, eppure, nonostante questo, quasi tutti i compiti vengono svolti a scuola, dando modo ai bambini di disporre di più tempo da condividere con la famiglia e da dedicare alle proprie passioni. Si imparano tre lingue e si dà ampio spazio alle attività extradidattiche (dal teatro alla musica, dallo sport alle ore laboratoriali). In classe si impara sia sui libri sia sperimentando. Fino ai 13 anni si fa a meno dei voti, ai quali si preferiscono l’impegno e l’attitudine a migliorare; dopo i 13 anni le valutazioni motivazionali giocano un ruolo importante e il corpo docenti deve fare in modo che nessuno resti indietro. 

L’apprendimento viene visto come una possibilità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità. Per questo motivo gli alunni vengono divisi sia in base agli interessi, sia per livello di apprendimento. L’obiettivo dichiarato della “scuola migliore del mondo” è di evitare a tutti i costi un livellamento verso il basso.

Tutto il metodo finlandese si basa su tesi scientifiche, fondate su validate  ricerche sull’apprendimento dei ragazzi, sul loro livello di concentrazione, sullo stimolo alla creatività e sullo sviluppo di capacità di cooperazione di gruppo.

Ciò che i ragazzi italiani vorrebbero non è necessariamente un cambio così drastico in modo da eguagliare i livelli di Stati come la Finlandia, ma almeno desidererebbero un po’ di attenzione da parte del Ministero dell’Istruzione, che dovrebbe investire molto di più, innanzitutto, per le strutture decadenti. È una vergogna infatti al giorno d’oggi sentire al notiziario di pezzi di soffitto che crollano nelle classi o dell’assenza di beni essenziali quali la cartaigienica nei bagni o i gessi nelle aule. Lo Stato dovrebbe anche utilizzare parte delle risorse economiche per acquistare attrezzature moderne nelle scuole: computer e tablet dovrebbero essere forniti gratuitamente ai ragazzi, poiché non si dovrebbe creare una condizione in cui chi non ha possibilità finanziarie per acquistare un proprio PC viene penalizzato e non può essere al pari dei suoi compagni. 

Bisogna dare spazio a insegnanti più giovani e dalla mentalità più aperta, che possano sperimentare metodi nuovi e nuove tipologie di lezioni, non più frontali, ma “orizzontali”; un po’ come usavano i greci: ci basti il ricordo di Socrate e delle sue lezioni basate sul dialogo. L’allievo con il ragionamento arrivava a trovare da sé le risposte alle proprie domande, mentre il maestro, dal canto suo, apprendeva anch’egli, trovandosi di fronte a nuove idee e strade che si aprivano, grazie ai confronti con gli allievi stessi. C’era uno scambio in cui entrambe le parti ne uscivano arricchite e con qualcosa in più.

Per ridurre lo stress dei ragazzi non serve eliminare ore scolastiche, al contrario, in molti farebbero anche più ore di quelle che fanno ora se poi a casa non dovessero studiare ancor di più che in classe. Se ci fossero più laboratori extrascolastici che permettono al ragazzo di apprendere in discipline variegate e stimolanti, senza dover spendere molti soldi in corsi privati, probabilmente sarebbero tantissimi i giovani a trattenersi volontariamente a scuola i pomeriggi, ammesso sempre che si vada a porre una soluzione alla problematica dei compiti a casa. Lo studio domestico non dovrebbe essere eliminato, ma piuttosto minimizzato all’indispensabile, poiché lo studente dovrebbe poter apprendere direttamente a scuola gran parte delle informazioni, per poi fissarle in un secondo momento facilmente nel pomeriggio.

L’adolescenza è una sola, e farcela vivere chiusi in casa fra libri e lacrime è uno dei peggiori colpi bassi che ci si possa infliggere.

Uscire, socializzare e fare esperienza è fondamentale in questa parte della vita che pone le basi del futuro come adulti, ma purtroppo una scuola troppo opprimente limita i giovani rendendoli meno liberi, meno forti e toglie loro la capacità di sognare in grande.

isacamarda

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