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Videogiochi: pericolo o risorsa per i giovani?

da 4 Mag 2023In primo piano, Presente0 commenti

Amati in tutto il mondo da bambini, adolescenti, ma anche adulti, e poi tanto criticati da mamme e papà preoccupati per i loro figli, che si chiudono in camera per lunghe ore attaccati a schermi e console. 

Il mondo dei videogiochi fa la sua apparizione per la prima volta sul mercato nei lontani anni ‘50 e comincia ben presto a far sentir parlare di sé, diventando estremamente popolare fra i ragazzi negli anni successivi. 

Ciò che attirava (ed attira tuttora) un sempre crescente numero di videogiocatori era quello che riusciva ad offrire questa modalità di gioco al proprio utilizzatore: con le surreali e affascinanti atmosfere ricreate all’interno di quegli schermi, capaci di catturare per ore in mondi immaginari, si riusciva ad allontanare da sé per brevi lassi di tempo i problemi reali, mettendoli in disparte per un po’. 

Dunque negli anni ‘80 le sale giochi diventano uno dei principali passatempi, in cui per pochi spicci avevi a disposizione alcuni minuti di gioco sulle tastiere. Successivamente sono comparsi console e joystick e, con l’avvento del computer e di internet, nacquero i videogames online. In quest’area la tecnologia è ancora in continua evoluzione e l’innovazione non si ferma mai; basti citare le recentissime realtà virtuale ed aumentata, che consentono un’immersione a 360° nel gioco. Le proposte per il prossimo futuro sono moltissime ed estremamente interessanti.

È pur vero che nemmeno le critiche nei confronti di questi giochi virtuali si sono lasciate attendere a lungo, a partire dalle accuse di essere un pessimo modello per i più piccoli perché pieni di illustrazioni violente e diseducative. Ma dunque i videogiochi sono davvero così pericolosi come sostiene tanta gente? Bisogna estraniarsene per evitare danni?

Ammettendo l’esistenza di giochi dai contenuti violenti, che indubbiamente non rappresentano i migliori esempi educativi a cui possano essere esposti i bambini, è anche da evidenziare che ognuno di questi è etichettato con la fascia d’età minima di gioco, al di sotto della quale i suoi contenuti sono fortemente sconsigliati. 

Oltre ad essere attività di svago, ottimi ad alleviare lo stress, sono utilizzatissimi a scopo educativo e addirittura psicoteurapeutico. Per esempio si possono menzionare nuove metodologie sperimentali in cui sono coinvolti i videogiochi, usate per la cura di malattie mentali e la riabilitazione psicologica, come la “Rehability” per la riabilitazione motoria dei soggetti in stato neurologico e i programmi per il trattamento dei bambini con disturbi dell’apprendimento. La “Video Game Therapy” non è da intendersi come una cura che apporti effetti miracolosi utilizzata da sola, ma può affiancare e supportare una meglio strutturata psicoterapia, studiata per il paziente.

I videogiochi vengono impiegati in questi campi poiché hanno proprietà quali quelle di poter stimolare la memoria, l’attenzione, il problem solving e, soprattutto, la creatività. 

Anche in ambito didattico occupano un ruolo importante: sono sempre meno rari i licei e gli istituti in cui i videogiochi sono stati inseriti fra gli strumenti sfruttati dagli insegnanti per rendere più dinamiche le proprie lezioni, in modo da farle risultare più d’impatto ed efficaci. 

Ciò che più spaventa e rende diffidenti nei riguardi dei videogames è la dipendenza, grave circostanza in cui si può inciampare se non si sta bene attenti. Ciò che consegue a questo fenomeno è, per esempio, l’insorgenza di crisi epilettiche, che possono essere dovute a deficit di sonno, frutto magari di nottate di gioco in partita, che tolgono ore al riposo; altri effetti possono incombere sulla forma fisica dei giovani, che rinunciano all’attività fisica per dedicarsi alle partite online, e sulla loro vista, che può essere danneggiata dall’esposizione eccessiva agli schermi. 

Ulteriore pericolo del gioco è il perdere di vista la propria alimentazione: un videogiocatore seriale dimentica spesso di bere e di mangiare, o in molti casi perde la percezione del cibo che introduce nel corpo, portando ad accrescere il rischio di insorgere in patologie come l’obesità. Infine, un’altra tesi portata avanti da molti è quella che i videogiochi impediscano la socializzazione, poiché i giovani rimangono chiusi nelle proprie stanze giorno e notte pur di giocare, senza più dedicare tempo alle uscite la sera con gli amici o alle cene in famiglia.

Non è sconosciuto il fenomeno degli “hikikomori”, termine che fa riferimento a quegli individui che si ritirano completamente dalla vita sociale per rintanarsi nelle loro camere e uscire solo in casi di innegabile necessità, come quella di dover mangiare. Il tempo che passano chiusi in casa questi soggetti, che sono per lo più ragazzi fra i 14 e i 30 anni, è occupato di fronte al computer guardando film, serie, anime… O, appunto, giocando con i videogiochi. Dunque spesso si associa a questi ultimi la causa della nascita della questione degli hikikomori. 

Anche se però sarebbe bene mettere in luce la realtà delle cose: la dipendenza dalla tecnologia di questi ragazzi non è la causa del loro isolamento sociale, ma ne è una conseguenza. Fin da prima di recludersi infatti, ciascuno di loro presentava grandi difficoltà a relazionarsi con gli altri, ed è questa la ragione per cui ha cercato rifugio nel mondo digitale, in cui si poteva sentire al 100% sé stesso poiché schermato dal display che fungeva per lui da protezione dai pregiudizi, di cui si sentiva oggetto nel mondo reale.

Anzi, c’è di più: al contrario di quanto si pensi, molto spesso i videogiochi favoriscono la socialità e sviluppano una rete di contatti tra le persone. Esistono moltissimi giochi di squadra in cui sbizzarrirsi e divertirsi con i propri amici, ma anche con dei perfetti sconosciuti. Il gioco online consente di fare amicizia con persone da tutto il mondo, cosa che consente ai ragazzi di migliorare il loro inglese, poiché è la lingua usata internazionalmente sul web, e di scoprire la bellezza della diversità delle culture degli altri Paesi, così come le similitudini che accomunano tutti noi in quanto umani, indipendentemente dal luogo di origine.

Possiamo giungere alla conclusione dunque che il problema non stia nel videogioco in sé, ma sorga piuttosto nel momento in cui il gioco si trasforma in qualcosa in più che un semplice hobby. Non bisogna abusare di queste tecnologie, così come non bisogna esagerare con una qualsiasi altra attività occasionale, che, usata in eccesso, rischia di trasformarsi in dipendenza, come il gioco d’azzardo o l’alcol. 

Per cui: no, il gioco virtuale non è un mostro da cui tenere lontani i propri figli, ma è certamente importante contenere i tempi di gioco e sfruttarlo nei limiti delle occasioni più opportune.

isacamarda

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