Il canone di bellezza è, per definizione, l’ideale estetico riconosciuto dalla società. Strettamente legato all’epoca e alla situazione culturale, economica e sociale di una popolazione, è rappresentato dalle caratteristiche fisiche maggiormente desiderabili. Tale canone si è espresso in molteplici modalità nella storia ed è stato tramandato attraverso numerose espressioni artistiche.
Fin da piccoli, la grassofobia ci è stata inculcata ovunque: questo concetto per cui “grasso” sia sbagliato e “magro” sia giusto. Basti pensare agli ideali estetici degli anni ’30, i quali favorirono l’affermarsi di un modello di bellezza femminile più atletico e caratterizzato dalla vita stretta, dall’evidente magrezza e dai capelli corti che sottolineano l’esile collo, per arrivare infine ai canoni anoressici degli anni ’90, il cui modello ideale era quello di Kate Moss. Ovviamente, oggi sappiamo che non è così e che la salute sta nel mezzo, ma soprattutto che non sempre un problema di salute è visibile dall’esterno. Prendiamo ad esempio i cartoni animati della Disney: siamo cresciuti in un mondo in cui i personaggi “grassocci” rappresentavano i cattivi – come Ursula, Maga Magò, la regina di cuori o gamba di legno –, oppure gli aiutanti “sfigatelli”, buoni e non tanto coraggiosi, come GasGas, Tristezza di InsideOut, Lady Cocca, Sultano in Aladdin o la fata turchina. Queste sono figure impacciate e, soprattutto, si tratta di personaggi che nelle fiabe originali non sono mai definiti grassi, ma che nei cartoni sono stati presentati così per sottolineare il loro carattere attraverso l’aspetto fisico. Invece, l’eroe o l’eroina sono iperaderenti ai canoni di bellezza vigenti, come dimostra il fisico di Barbie, totalmente irrealistico. È stato condotto uno studio che ha dimostrato che, se esistesse una persona che realmente possiede il fisico di Barbie, non potrebbe sopravvivere perché i suoi organi interni non ci starebbero all’interno del corpo.
Questi canoni di bellezza fanno sentire enormemente sbagliata una grandissima fetta di persone che non si sentono conformi a questi standard!
Nell’Antico Egitto, quando le donne erano potenti a livello sociale, l’ideale estetico era quello della figura magra e longilinea; nell’Antica Grecia, invece, la donna era rotonda e formosa, con i fianchi ed il seno abbondanti. C’è da ribadire quindi che, sicuramente, un tempo i corpi erano più morbidi e meno orientati alla magrezza rispetto ad oggi.
Fin dalla nascita dell’arte, si ricercarono forme e misure ideali da attribuire alle figure da creare. Dalla preistoria abbiamo rappresentazioni della Venere primitiva con le forme tipiche della femminilità: il seno, ma soprattutto i fianchi e il ventre, erano rigonfi e dunque esageratamente evidenziati per valorizzare la funzione materna della donna.
Policleto di Argo, lo scultore greco del primo periodo classico, fu il primo a creare un canone di bellezza: prese le misure di svariate parti del corpo di molti uomini, per definire delle misure medie e scolpire un corpo ideale. In seguito scrisse un trattato, il “Canone”, dal greco kanon, cioè “regola”, nel quale descrisse le perfette proporzioni del corpo umano.
Nel Medioevo, invece, la donna era considerata bella in base a degli elementi specifici: la sua figura doveva essere esile e la pelle quasi pallida. La fronte era alta, gli occhi azzurri o grigi e la bocca rosea. I capelli erano biondi e lunghissimi, se non erano chiari naturalmente venivano schiariti al sole o con l’aceto e, se le fanciulle medievali non li portavano sciolti, li raccoglievano nella classica pettinatura dell’epoca “a cono”. Il seno non era simbolo di bellezza e seduzione, anzi, era piccolo e spesso stretto in una fascia, mentre il ventre veniva messo spesso in evidenza ricorrendo ad imbottiture al di sotto dei vestiti. Per curare la pelle e combattere l’acne si ricorreva al peeling, effettuato con le cipolle. Anche la depilazione era assai importante: i peli venivano eliminati utilizzando l’arsenico e la calce viva. In questo periodo storico la bellezza maschile non era un attributo valorizzato come nel periodo classico, difatti il corpo veniva nascosto da numerosi strati di abiti.
Nel Rinascimento la donna appare invece florida, portatrice di gioia e ispiratrice dell’amor cortese, con seno grande e fianchi pieni che simboleggiano il benessere economico e un’ottima salute; mentre il maschio è rappresentato solitamente in maniera più realistica e meno idealizzata.
Anche durante l’epoca Vittoriana era diffuso l’ideale della donna oversize, dalle forme morbide e dalla vita fasciata dal corpetto. Cosa è successo poi?
Durante la prima guerra mondiale, quando gli uomini erano in guerra, le donne hanno inevitabilmente dovuto svolgere molte più attività, iniziando a sviluppare di conseguenza una certa indipendenza economica. Essendo il patriarcato vigente contrario a tale “novità” fu creato un canone estetico abbastanza irraggiungibile e offerti dei “rimedi” per poter cambiare il corpo e spendere il denaro. E ha funzionato! Per esempio la parola “cellulite” è stata diffusa da Vogue nel 1968, per identificare un “attribuito deturpante”. Ovviamente Vogue offriva anche le prime creme anticellulite (inutili), ma con il passare degli anni l’asticella si è alzata sempre di più per continuare ad alimentare questo mondo consumistico.
Pensiamoci un attimo: se noi, domani, ci alzassimo e tutte quante ci piacessimo, quante aziende fallirebbero? Spoiler: moltissime. Nessuna di noi è sbagliata; va bene lavorare per migliorarsi e creare la versione migliore di noi stesse, va bene anche dire “oggi non mi piaccio”, ma non va bene fare dell’aspetto fisico il fulcro della nostra felicità o farlo diventare un’ossessione, perché la bellezza altro non è che una convenzione sociale. Per quanto questa sia ben radicata e per quanto sia giusto voler lavorare sul proprio corpo per migliorarsi non è giusto ammalarsi per un qualcosa di prestabilito spesso e volentieri per lucrare. Prima di ogni cosa dovremmo fare attenzione a come ci sentiamo, non solo a come appariamo!
La nostra società è inoltre totalmente influenzata dai social network, ma soprattutto dal giudizio delle persone che ci circondano! La paura di non piacere agli altri, al giorno d’oggi, è presente nella maggior parte delle persone e questo argomento viene spesso molto sottovalutato, dimenticando completamente il valore delle parole e le conseguenze che esse comportano se dette nella maniera sbagliata. Questa società produce standard di bellezza irraggiungibili, i quali creano insicurezze che condizionano negativamente il nostro giudizio e a volte anche il nostro stile di vita, portandoci letteralmente a non amarci, quasi ad odiarci e a non valorizzarci facendoci sentire totalmente sbagliati. Le immagini sono uno strumento potentissimo e, se usate scorrettamente, sono in grado di provocare conseguenze devastanti, come il far pensare che la bellezza esteriore sia molto più importante rispetto a quella interiore.
Soprattutto la donna è sempre stata, ma è ancora soggetta a dei forti ideali estetici e, al giorno d’oggi, lo standard consiste nella donna magra, alta, con pelle bianca, liscia e uniforme. Ma tali “bellezze ideali” come influiscono sulla vita delle persone? L’autostima è un elemento fondamentale del benessere psico-sociale della persona, nonché il valore alla base delle relazioni positive con la propria immagine. Tra le cause più rilevanti della scarsa autostima vi è una crescente pressione sociale verso ideali di perfezione irraggiungibili, i quali possono causare grandissimi problemi all’individuo, come i disturbi alimentari, la depressione e una scarsissima considerazione della propria persona. Sono soprattutto i social network ad avere una grande responsabilità sotto questo punto di vista. La maggior parte degli adolescenti è influenzata dalle immagini altamente ritoccate e dai falsi canoni di perfezione che percepiscono utilizzando i social media, ed essendo particolarmente vulnerabile, pone tra i principali obiettivi quello di piacere ed essere amata dagli altri prima che da se stessi. Questi standard di bellezza sono stati creati proprio per un motivo: il marketing. Il consumo ha certamente guadagnato molto nel convincere le persone del fatto che il canone di bellezza da seguire sia quello imposto dalle pubblicità e dalla società. Questi standard costringono inevitabilmente le persone a comprare decine e decine di cosmetici, vestiti, gioielli… e talvolta le persone non riescono proprio a piacersi, tanto da arrivare, principalmente a causa dell’insicurezza, a rivolgersi alla chirurgia plastica, che richiede decisamente tanto denaro. Per c tutte queste convinzioni, il modo di fare pubblicità è radicalmente cambiato: si è passati da un modello informativo che pubblicizzava prodotti di cui si aveva realmente bisogno ad un modello quasi unicamente consumistico, che induce il cittadino ad acquistare sempre di più, soprattutto beni di cui non ha veramente necessità, ma che migliorerebbero solo l’estetica, sfruttando in questo modo paure, desideri e insicurezze.
Avendo appurato quindi che questi standard sono stati imposti alla società per delle strategie di commercio, l’amore che proviamo verso noi stessi non deve dunque cambiare, indipendentemente da essi. Ciò che veramente conta è come ci si sente con il proprio corpo e aspetto, e nessuno ha e avrà mai il diritto di giudicare seguendo dei canoni estetici totalmente superficiali e futili.
Non esiste inoltre una bellezza universale poiché ogni viso e ciascun corpo possiede una perfezione assolutamente soggettiva. Essere belle significa prima di ogni altra cosa sapere indossare la propria personalità. Dunque sii te stessa e non stravolgere ciò che sei nella tua unicità.
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