Erano in quattro su di lui. Lo bloccavano standogli addosso con tutto il loro peso. La sua faccia era schiacciata a terra, deformata.
Il nostro sguardo si è incrociato nel momento in cui urlavo e pregavo di non fargli male. Mi ha guardato. Ed è stato come se mi avesse chiesto aiuto e ringraziato allo stesso tempo.
Era sulla strada per vendere borse false. Un uomo di colore, forse arrivato qui clandestinamente. Come molti altri, forse si è viste negate dal nostro governo le giuste garanzie per entrare a far parte del nostro paese e a quel punto avrà deciso che in qualche modo doveva pur sopravvivere.
Quattro moto della polizia Roma Capitale passavano per caso in via della Frezza e quest’uomo si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ed ecco: uno dei poliziotti gli si lancia addosso. L’uomo cade, e con lui il poliziotto e anche la moto. Altri due poliziotti gli bloccano le gambe con il proprio corpo: uno è completamente sulla sua schiena, un altro si “occupa” della testa, spingendogli senza nessuna pietà la faccia sull’asfalto.
Prego di fare piano, ma loro insistono. Loro, che possono permettersi di fare come cazzo gli pare perché nel momento in cui i passanti si fermano a guardare e a chiedere, si permetto di rispondere “fatti i cazzi tuoi e vai a lavorare invece di guardare”.
Anche altri, come me, urlano di smettere e volano parole, insulti, fino al punto in cui un poliziotto si permette di arrivare davanti a un passante, a distanza di due cm dal suo viso, dicendogli “stai attento che non torni a casa, ti faccio male!”. Un collega va in suo soccorso, e nel camminare borbotta tra sé e sé “ma che te frega, arrestiamoli tutti e andiamocene a casa”.
L’uomo viene ammanettato, ovviamente nel peggiore dei modi, quasi rischiando di rompergli le ossa delle braccia, e viene messo nel furgone della polizia, che lo porterà in galera. E lì, chissà cos’altro gli succederà.
I poliziotti risalgono sulle rispettive moto e se ne vanno, ovviamente contromano.
Sui volti dei presenti riconosco le mie stesse emozioni: un senso di vuoto, di schifo, di disprezzo verso le istituzioni, verso questo paese che esercita le leggi solo sui più deboli, sui meno furbi.
E sembra di trovarsi a fare i conti con la legge della giungla, dove quelli che corrono di meno, che inciampano e cadono, sono coloro che vengono presi e messi in trappola.
E sono qui, seduta sulla poltrona, a cercare di calmare il tremolio delle gambe; a trattenere le lacrime; a pensare a tutte le notizie riguardo l’abuso del potere che ho visto passare su giornali e tv. A pensare a quanto sia diverso assistere dal vivo a certe scene, al sentirsi impotenti, non ascoltati, insultati, NON TUTELATI!
Cos’altro può restare, se non lo schifo?
Camilla Arbore
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