Spesso la fantasia delle nostre menti, soprattutto quelle più giovani, può essere così fervida da creare storie talmente singolari che fanno rimanere di stucco anche le persone stesse che le immaginano.
Questo racconto è la semplice trascrizione di un sogno di una bambina che è sempre stata affascinata da favole insolite che sfiorano l’orrore.
In seguito mi è capitato altre volte di fare incubi altrettanto spaventosi, ma questo in particolare mi è rimasto impresso per il fatto che io non influenzassi con le mie azioni il corso degli eventi, ma fossi presente come spettatrice esterna.
Nel sogno mia madre è in cucina. Fuori piove, a tratti grandina. Lei è tranquilla, canticchia un motivetto mentre mescola il sugo in un grande pentolone sui fornelli.
L’atmosfera sembra tranquilla nonostante l’acquazzone che si scorge da una grande finestra che occupa una buona metà del muro della cucina.
Ad un tratto, la pace ritratta dalla mia mente viene frantumata da un urlo terribile e straziante, proveniente da una camera adiacente alla cucina.
Mia madre sembra rimanere imperturbata sentendo il grido e, quando si decide a controllare cosa sia successo, si dirige lentamente verso il punto d’origine della voce.
La mia camera è ordinata e sembra come se non ci fosse nulla particolarmente degno di nota, se nonché, posando lo sguardo su uno dei due letti in cui probabilmente io e mia sorella dormiamo arrotolate nelle coperte fino alla testa, mamma si accorge che le coperte inizialmente bianche si sono tinte completamente di un rosso scuro, e del sangue cola dal materasso.
Una di noi è stata uccisa.
A mia madre non sembra interessare neanche questo: con una gelida calma torna ad occuparsi del sugo e ricominciando a mescolare, uno schizzo di sugo scuro le macchia il grembiule candido che indossa.
Sembra tornare la tranquillità, quando una risata malvagia, acuta e riprovevole risuona chiara ovunque. Mamma guarda fuori dalla grande finestra e davanti a lei una scena terrificante le si presenta davanti agli occhi: una figura alta dal viso pallido cadaverico, un ghigno malefico dipinto sul volto, lo sguardo talmente penetrante da far tremare le vene nei polsi si staglia nella tempesta. La osserva da dietro il vetro con un coltello sporco di sangue nella mano sinistra e un altro pulito e ben affilato in quella destra.
Paralizzata, la donna è incapace di muovere un solo muscolo, rimane immobile a contemplare l’immagine raccapricciante davanti a sé, come se un minimo accenno alla fuga le potesse costare la vita.
Predatore e preda rimangono lì fissandosi l’un l’altra in una tensione gelida per secondi che sembrano un’eternità, fino a quando il mostro umanoide non indietreggia fino a scomparire nelle fitte gocce di pioggia.
Il modo in cui mamma torna nella camera con i due letti appare meccanico e forzato, come se qualche agente superiore la guidasse.
Ora anche il secondo letto è diventato rosso, un altro cadavere.
Ciò, inspiegabilmente, sembra far tornare mia madre alla sua pacifica placatezza e, come dimenticatasi dell’incontro appena avvenuto, torna al suo compito.
Di nuovo, girando il sugo, si macchia il grembiule.
A questo punto, può sembrar strano, mi rendo conto nel sonno del delirio a cui assisto e un lume di ragione si insinua finalmente nel sogno, ma nonostante ciò è come se non riuscissi a svegliarmi, come se dovessi assistere come osservatrice fino alla fine.
Finalmente papà torna a casa. Saluta mamma come fa di solito, appende la giacca all’appendiabiti, va in bagno e si lava le mani.
Mamma gli chiede com’è andata la giornata, lui le risponde “Tutto bene, a te?”, lei gli racconta tutto in breve tempo e papà ascolta diligentemente.
Quando mamma finisce, l’unico commento di papà è “Amore, ma in questa casa non ci sono finestre: abbiamo solo specchi.”
Giulia Cicerano
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