David Bowie è scomparso un anno fa lasciando un vuoto che sarà difficile colmare. La sua musica e i suoi personaggi hanno influenzato la vita di miliardi di persone. Stavolta, noi di Ammazzacaffè, invece di ricordarlo per ciò che fece, lo ricordiamo per il modo in cui è entrato nella nostra vita. Queste sono le nostre storie.
Paolo
Conobbi Bowie in modo alquanto bizzarro e, credo, differente dal resto delle persone che l’hanno amato.
Era Dicembre del 2003 e la mia famiglia trascorreva ancora il Natale con i nonni. Ricordo che davanti il camino acceso mia madre mi porse una scatola di cartone grande più o meno quanto quella di un panettone (avrei potuto dire pandoro ma sono un esponente deciso della fazione Uvetta). La scartai e dentro trovai con sorpresa un’altra confezione, leggermente più piccola. Era quel periodo dell’infanzia quando ancora andava di moda stupire i propri figli con regali a mo’ di matriosche. Dopo un ulteriore “scarta la carta”, la forma finale che ne risultava era quella di un gioco della PlayStation 2, ricoperto di carta argentata. Al suo interno, finalmente, “Amplitude” della Harmonix. Gioco abbastanza di nicchia, del quale sento ancora la mancanza a distanza di anni, contenente ben 26 tracce musicali giocabili.
Arena n°2, Beat Factory: “Everyone Says ‘Hi’ (Metro Remix)” – David Bowie.
Avevo 7 anni.
“Uuh ma questo è David Bowie! Io ero innamorata di lui quando avevo l’età tua.” Parola di mia madre che, ebbene sì, durante tutto il periodo delle elementari giocava con me alla Play.
Ero comunque piccolo e stupido e l’esclamazione non mi toccò particolarmente. Crebbi ascoltando decine di canzoni del Duca, senza saperlo. Heroes, China Girl e Change venivano riprodotte ovunque.
Fu solo in secondo superiore, quando andai al cinema a vedere ’Noi siamo infinito’ che, riascoltando l’ennesima volta “Heroes”, compresa nella colonna sonora del film, decisi di approfondire la conoscenza dell’artista. Negli anni, con “The Prestige“ di Christopher Nolan scoprii il suo lato attoriale, dove in ogni film, a modo suo, ha regalato un’interpretazione autoriale degna del suo stile.
L’ultimo approccio concreto mi rimanda a Natale 2015, quando il capo dell’ufficio dove lavoro mi regalò “Best of Bowie”. Poche settimane dopo sappiamo tutti come andò a finire, e sinceramente, mi sento anche un po’ in colpa. Ma il senso di colpa legato alla mia immensa sfiga è solo una punizione per non averlo amato ed apprezzato in tempo. Karma. Thanks for the memories.
Alessandro
Ricordo che cercai quel disco per almeno dieci minuti, nel non troppo vasto reparto musicale della Feltrinelli di Viale Marconi a Roma, poi mi arresi e sconfiggendo la parte di me restia a chiedere informazioni fermai un commesso e chiesi se erano rimaste copie del nuovo disco di David Bowie, “Blackstar”.
Sì, una sola, eccola lì esposta nel settore rock.
Rimasi perplesso. Come avevo fatto a non vedere un disco esposto in bella vista. Poi capì. C’era questo quadratone completamente nero, anonimo, che sembrava fosse immerso in un’aurea ultraterrena (col senno di poi certe associazioni sono più facili). Allungai le braccia e lo presi. Controllai se mancava qualcosa perchè il packaging mi sembrava troppo scarno e minimale.
Arrivato a casa lo scartai. L’interno era ancora più funereo dell’esterno. I testi erano stampati in nero lucido su sfondo nero opaco, erano illeggibili. L’unica eccezione a questa marea oscura era una faccia della confezione che raffigurava un cielo stellato e affianco una foto di un Bowie magro, scuro anche lui, bendato.
Era il 9 gennaio 2016, la mattina del giorno dopo capì tutto, un’altra volta. Se ne era andato in silenzio, con stile, lasciando a tutti noi una reliquia piena di segreti. Quella reliquia è “Blackstar”, un disco composto sulla terra da un uomo venuto dalle stelle, e poi tornato a casa.
Daniele
Put on your red shoes and dance the blues.
Come dargli torto. È uno dei tanti consigli che David Bowie ci ha dato. Io lo vorrei ricordare sopratutto per questo, per i suoi testi, il suo modo di fare musica che ti prende e ti porta in un mondo tutto unico. Non ero un grande fan di Bowie, però so riconoscere quando un’artista ci sa fare. Devo ringraziare le playlist di Spotify se l’ho conosciuto prima della sua scomparsa, ricordo ancora che dopo “Satisfaction” dei Rolling Stones partì “Starman”, e da lì cominciai a interessarmi, giorni e giorni a sentirlo e ancora oggi non ho finito la sua discografia. A un anno dalla sua scomparsa si sente ancora e si vede il grande vuoto che ci ha lasciato. Quel rock tutto suo non credo che debba essere dimenticato, quelle chitarre e quei fiati che trovano una profonda connessione tra loro sono indimenticabili, quei ritornelli e quei testi che tutti noi canticchiamo e fischiettiamo sono indimenticabili, quella particolare voce è indimenticabile. Di David Bowie, non ti puoi dimenticare, e come altri grandi artisti se né andato via troppo presto. Poteva ancora regalarci nuove emozioni.
Veronica

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