Troppo poco si conosce di questo scrittore, come lei stessa amava definirsi per non essere giudicata a priori per via del suo sesso, e troppo è stato superficialmente detto. Questo articolo si impegnerà a liberare Oriana Fallaci, fiorentina doc, da uno strato di ignoranza che grava sulla terra che ricopre la sua tomba e che allo stesso tempo ci impedisce di comprendere l’importanza di questa celebre penna del giornalismo.
“Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede tale coraggio, una sfida che non annoia mai”
(Lettera a un bambino mai nato, 1975)
È proprio questo il princìpio che accompagnò Oriana Fallaci, scrittore e giornalista fiorentina, per tutta la sua vita. Oriana di coraggio ne aveva da vendere, coraggio che la portò ad affermarsi a livello internazionale, diffondendo un altro ‘modo d’essere italiani’ in tutto il mondo. Il coraggio non le mancò sin da quando fece la staffetta partigiana per la Resistenza, trasportando armi per i soldati partigiani nel cesto della sua bicicletta. Non le mancò nemmeno quando decise di lavorare come inviata speciale in Vietnam, durante quel sanguinoso e insensato conflitto.
Nel 2019 la Fallaci torna frequentemente nel discorso pubblico, spesso idolatrata, spesso demonizzata – ‘Ah sì, la Fallaci quella stronza razzista’ -, quasi sempre fraintesa. Questo scrittore non può essere racchiuso in un così blando, inverosimile e superficiale stereotipo; come principale argomento della difesa c’è semplicemente la sua storia. Oriana nel 1967 atterra per la prima volta in Vietnam con un obiettivo particolare: cercare di capire la natura dell’uomo, che in guerra dà esempio dei suoi aspetti migliori e dei suoi aspetti peggiori. Durante questa permanenza in Indocina, Oriana è testimone delle più grandi atrocità: civili con le mani legate fucilati per le strade di Saigon, bambini segnati da ustioni provocate dalle bombe al napalm lanciate a tappeto dagli elicotteri americani, monaci buddisti che si immolavano dandosi fuoco nelle piazze per un Vietnam libero. Tutto ciò verrà raccolto nel suo primo capolavoro “Niente e così sia” (1969), un libro-diario che si impegna a descrivere l’uomo e la storia che stava scrivendo in quel periodo, evitando faziose dimostrazioni di fede a nessun tipo di politica.
Mentre ai giorni nostri questa donna viene strumentalizzata dalla destra, nei primi anni ‘70 Oriana viaggiava per il mondo con Pier Paolo Pasolini discutendo temi come la condizione e considerazione delle donne in tutti i paesi del mondo, suo cruccio personale che portò alla stesura de “Il sesso inutile” (1961), contribuendo a farla diventare un’icona del femminismo. Poco prima della morte di Pasolini, la Fallaci pubblica “Lettera a un bambino mai nato” (1975), un libro che senza pudore e delicatezza ma con sincerità e schiettezza tratterà un tema spinoso come l’aborto. La scrittrice non si sbilancia né dalla parte dei comunisti e neppure dalla parte dei democristiani, lasciando, a libro finito, ogni lettore con l’amaro in bocca.
«Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri»
(Lettera a un bambino mai nato, 1975)
Questo libro unisce lettere e riflessioni che la protagonista scrive alla nuova vita che porta in grembo. Grazie al tratto personale del libro, Oriana mette in luce ogni possibile pensiero che può passare per la testa di una donna che scopre di essere incinta, di come questa donna possa sentirsi in diritto di volere o di non volere una vita da mamma. È inutile sottolineare che questo scritto, nel 1975, fu uno scandalo epocale. Oriana però era già abituata a ritrovarsi spesso al centro di scandali grazie a un susseguirsi di memorabili e taglienti interviste ai più grandi uomini di tutto il mondo. E fu proprio questa collezione di interviste, o meglio arringhe d’accusa, che le fecero guadagnare il titolo di stronza.
Il piglio dello scrittore che caratterizza gli articoli di quegli anni le permette di mostrare ogni angolo della personalità degli intervistati e, senza rendersene conto, questi ultimi si ritrovano disarmati a confessare o affermare cose che avrebbero volentieri tralasciato. E’ proprio questa donna a portare Henry Kissinger, Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America, a definirsi come ‘un cowboy solitario’ nel bel mezzo del conflitto in Vietnam. Sempre Oriana mette con le spalle al muro ben due capi di stato iraniani: Reza Pahlavi e l’Ayatollah Khomeini. Con entrambi ha accese diatribe riguardanti il sesso femminile: al primo rende impossibile difendersi di fronte ad accuse che lo dipingevano come misogino e bigotto chiedendogli ripetutamente.
«Se considera le donne pari agli uomini, mi nomini un eccellente cuoco donna che conosce, altrimenti una pittrice, oppure se vuole una politica» (Intervista con la storia, 1974)
Khomeini invece contribuì a un episodio che divento nell’opinione di massa la pietra miliare della carriera della giornalista. A fronte di diversi disaccordi sempre riguardanti la condizione delle donne, Oriana fa un gesto che rimane impresso nella storia:
«Oriana: ‘Eppure, in assenza del velo che impedisce di lavorare, anche in Iran le donne hanno dimostrato di essere al pari degli uomini combattendo per la rivoluzione’
Khomeini: ‘Le donne che hanno combattuto sono delle poco di buono, e non delle donne eleganti come lei che sta indossando il ‘chador’» (Corriere della Sera, 1979)
Al terminare di questa frase la Fallaci si alzò e si strappò di dosso il chador e lo lasciò cadere in terra dicendo di non rispettare quel ‘cencio da medioevo’.
Poco più in là nel tempo, la Fallaci, che amava essere al centro degli eventi più importanti della storia, si trasferisce a New York e si ritira a vita privata, a seguito anche della scoperta di aver sviluppato un cancro ai polmoni, a causa delle 60 sigarette che fumava al giorno e delle nubi tossiche respirate mentre faceva la corrispondente di guerra in Libano. Questo silenzio durò fino al 2001, quando a seguito dell’attentato alle torri gemelle la Fallaci decide di scrivere un ammonimento sul Corriere della Sera per tutti i paesi occidentali contro i paesi islamici: “La rabbia e l’orgoglio” (Corriere della Sera 2001).
«Non si può separare il terrorismo dalla religione che lo origina»
(Oriana Fallaci intervistata da Charlie Rose, New York 2003)
Dopo questo avvenimento la signora Fallaci viene completamente stigmatizzata e demonizzata da una grande parte della popolazione mondiale, soprattutto italiana. Dopo una vita di battaglie e a un passo dalla morte decide comunque di esporsi alla pubblica accusa per difendere la sua amata Italia. Questa scelta difficile la porta inevitabilmente a gettare ombra su tutti gli scritti che fu in grado di produrre nel corso della sua vita, ma anche a perdere tempo prezioso che avrebbe potuto impiegare per curarsi. Oriana si spegne nel Settembre del 2006, divorata dalla stessa malattia che aveva stroncato la sua famiglia. Lotta fino all’ultimo per morire a Firenze, sua città natale, dove giace la sua lapide con scritto: “Oriana Fallaci. Scrittore”.
Oriana fu quindi una donna che per tutta la sua vita lottò per rendere la gente un po’ più consapevole, raccontando il corso della storia un po’ più da vicino e con un taglio elegantemente astuto che solo una donna poteva dare.
Gabriele Albertini
Una pregevole analisi critica di un personaggio controverso e poliedrico come Oriana Fallaci, di cui l’autore dimostra di aver colto lo spirito profondo grazie all’attenta lettura dei suoi libri e della sua biografia.