A volte la continua ricerca di evasione e il bisogno di concretizzare l’idealizzazione del mondo che si è posta all’interno della nostra mente può essere più forte della realtà stessa e dell’impossibile. Ed è questa idea, considerata folle, ad aver dato vita a un piccolo ma profondo concetto di libertà, l’Isola delle Rose.
“Sono convinto che solo nella libertà c’è la possibilità di incrementare l’industria, le idee, qualunque cosa.” – GR.
Il bisogno di toccare con mano la libertà e allontanarsi dalla regolare normalità. Fu proprio questo, alla fine degli anni Sessanta, a spingere Giorgio Rosa, un ingegnere idealista bolognese, nella realizzazione della sua realtà, con la sua isola poi diventata un vero e proprio stato indipendente. In un clima così magmatico come quello degli anni ‘60 italiani, una delle mete più ambite dai giovani è Rimini, considerata il fulcro del divertimento spensierato e dell’evasione. Ed è proprio ai confini di questa località marittima che Giorgio Rosa dà vita alla sua idea.
La progettazione iniziale fu quella di un’attrazione turistica. Una piattaforma situata in acque internazionali distante 6 miglia nautiche dalla costa italiana: una superficie di 400 metri quadrati costruita e brevettata nei minimi dettagli da lui stesso, a seguito di uno studio di 10 anni. Nel 1966 provò a costruirla per la prima volta, fallendo: la piattaforma finì per ribaltarsi.
Dopo soli due anni, nel 1968, terminò la costruzione dell’isola di acciaio e il 1º maggio dello stesso anno venne ufficializzata come “Repubblica esperantista dell’Isola delle Rose”.
La micronazione aveva anche un francobollo, si stava iniziando a coniare una divisa monetaria e a istituirsi l’ Esperanto, lingua della Repubblica. Per quanto riguarda quest’ultima, Giorgio Rosa dichiarò che non era suo interesse parlarla, bensì era un modo per mantenere l’ideazione dʼindipendenza tanto ricercata e ormai raggiunta.
L’isola era abitata esclusivamente dal suo custode, e frequentata maggiormente dall’ingegnere bolognese e dalle cinque persone che la fondarono insieme a lui, ma le visite erano costanti da parte di turisti provenienti da tutto il mondo. Trovarsi fuori dalle acque territoriali significava anche essere fuori dalla giurisdizione italiana, comportando così l’assenza di leggi già stabilite e imposte nella Nazione. Proprio Giorgio Rosa sostenne di provare una profonda insofferenza verso la burocrazia italiana e di essere contrario alle idee politiche e sociali adottate dal Paese in quel periodo storico molto confusionario.
La stampa in quel periodo non parlava di altro, era uno degli argomenti più discussi: non si capiva cosa accadeva all’interno dell’isola e le vere intenzioni del suo ideatore. Furono in molti a tentare di definire una tale novità. Inizialmente si pensava fosse una radio pirata, ipotesi che poi venne subito smentita. In seguito c’era chi la definiva “la nuova San Marino”, chi sosteneva che nella piattaforma avvenivano atti di prostituzione e spaccio di droghe, chi era convinto che tutto fosse in stretto legame con la mafia, e chi al contrario sosteneva che l’isola, pur essendo unʼidea folle, fosse un nuovo passo verso un’innovazione e una giusta forma di evasione dal regolare vivere.
La realtà non era distante da questʼultima considerazione perché, per chi la respirò, l’aria sull’Isola delle Rose era di una sana innocenza, di una immensa gaiezza e di grandi aspettative. Aspettative che però ebbero vita breve. Nonostante il consiglio d’Europa dichiarò implicitamente la validità dell’indipendenza dell’isola, l’Italia reagì diversamente. I primi attacchi in Parlamento a Giorgio Rosa arrivarono dal Movimento Sociale Italiano, protagonista della situazione tormentata vissuta in quegli anni nel Paese. Il Movimento sosteneva che fosse inconcepibile che qualcuno potesse estraniarsi in quel modo dall’italia.
Per quanto fosse di fatto una Nazione a parte e che con l’Italia, come con qualsiasi altra Nazione, non avesse nulla a che fare, il 26 giugno 1968 le autorità la invasero, la misero sotto sequestro e nel febbraio 1969 fu abbattuta con dell’esplosivo, segnando ufficialmente la fine della Repubblica esperantista dell’Isola delle Rose.
55. Furono 55, i giorni in cui Giorgio Rosa riuscì finalmente a toccare con mano e a realizzare la sua concezione di libertà, senza sentirsi limitato nemmeno dalla realtà. La realizzazione di un’utopia libertaria, una storia che, per quanto possa sembrare surreale, sentiamo fortemente vicina a noi che per primi abbiamo la necessità di accantonare ciò che ci fa sentire oppressi e limitati.
Non ci sarà mai più un’isola come quella delle Rose, come non ci sarà mai più un Giorgio Rosa, ma la sua memoria rimane custodita e viva nei libri, nelle testimonianze, nei film come ricordo costante per quando pensiamo che non vada bene essere grandi sognatori.
Vi lascio alla recensione fatta da Jonathan, mio compagno di redazione, per il film “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, che prende ispirazione da questo racconto , con protagonista un uomo che insegue sogni più grandi di sé accompagnato da un amore tormentato.
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