Da giovine mi stringevo alla sedia fianco
l’amico mio, per questi fuggirmi timore.
Che sapean i giorni nostri dell’incombenti
dottrine ‘l sapor salmastro di strapparci a noi?
Dacché stingevansi i capei miei del lor bianco,
l’ombra sua cadea in terra nel primo albore;
anche quan’ laiavano quee dell’altre genti,
sporchi d’olio sbiadito scherzavamo gioi.
Or remoti, seppur sin nota del bel banco,
immeritato ‘l sigillo al nostro reo cruore
che nulla di buono ci ha portato altrimenti –
ravviso c’abbian fatto de li martiri eroi.
E all’anzi mi rimetterò pure da stanco:
crogiolarmi in di quelle memorie ‘l tepore,
nozion asserragliando coll’anziani denti,
poiché neppiù rancore porto al tempo dipoi.
Luca Martin
0 commenti